FERENC PUSKAS IL MAGIARO VOLANTE, PIEDE SINISTRO DI DIO
Storia breve di Ferenc Puskas, morto a 79 anni per complicazioni di un terribile morbo che gli aveva reso impossibile la vita. Considerato da Gianni Brera il più forte giocatore del mondo, assieme a Pepe Schiaffino, Ferenc il magiaro ha la tipica storia da romanzo e la predisposizione al prestipedatare nel sangue. Nasce a Budapest nel 1927. Figlio d’arte di una famiglia piccolo borghese, a 16 anni debutta nella prima squadra del suo quartiere, il Kispest e viene convocato in nazionale solamente due anni dopo, nemmeno diciottenne. Esordio contro l’Austria e gol immediato, con personalità da veterano. A fine carriera, con la maglia dell’Ungheria, le segnature saranno 83 in 84 partite, con la migliore media realizzativa di tutti i tempi. Non è dotato di un gran fisico (al Mondiale ‘54 avrà già la caratteristica pancetta da impiegato) ma è fulmineo nello scatto breve, un solista nel dribbling stretto, ed in possesso di un mancino terrificante, il più potente e preciso che la storia del folber ricordi, almeno fino all’avvento di Maradona. Luisito Suarez, pallone d’oro e campione della Grande Inter, giura di averlo visto mirare, e colpire, la traversa nove volte su dieci con tiri dai trenta metri. Gli anni del dopoguerra sono durissimi e, per sfuggire alla miseria, Ferenc entra nell’esercito. Fa carriera, diventa maggiore con la promessa di poter continuare comunque con il calcio. Gioca nella rappresentativa militare con compagni come Sandor Kocsis e Laszlo Kubala, nel frattempo la sua squadra di club, che ha cambiato nome in Honvéd, vince cinque titoli consecutivi, meritando la nomea di Juventus d’Ungheria. Ma la storia, si sa, la scrivono gli albi d’oro delle nazionali. Nel 1952 la selezione stravince l’Olimpiade, con un netto 2 a 0 in finale sulla fortissima Jugoslavia. Le marcature sono aperte, come ovvio, dall’Artigliere. Nasce la leggenda dei Magici Magiari. La consacrazione mondiale arriverà poco dopo. Il trio volante composto da Czibor, Puskas e Hidegkuti è, in epoca di radiocronache, materia per miti e narrazioni di ogni tipo e l’Ungheria rappresenta il calcio stesso, più ancora del Brasile, dell’ Italia bi-campione del mondo o dell’Uruguay di Schiaffino e Varela. Nel 1953 la nazionale di Tibor gioca a Wembley contro l’Inghilterra, e gli inventori del football vengono battuti per 6 a 3. La rivincita sarà ancora più umiliante per i Leoni: 3 gol del Maggiore condurranno ad un impietoso 7 a 1 per l’Ungheria. Il Mondiale del 1954 sembra essere, a questo punto, una formalità. Girone eliminatorio dominato, con un 8 a 3 sulla Germania Ovest. Uruguay campione in carica schiantato per 4 a 2, stesso parziale sul Brasile. In finale c’è di nuovo la Germania di Helmut Rahn e Morlock. Dopo otto minuti Puskas replica il gol di Czibor, due a zero, e si prevede una scampagnata allegra. Invece gli alemagni rimontano e, incredibilmente, vincono tre a due. Non c’è tragedia sportiva che regga il confronto, nemmeno quella del Brasile di Sabrosa o dell’Olanda di Crujiff. La delusione è terribile ma il destino bussa alla porta di Ferenc. È il 1956. Il Canoncito Pum ha 29 anni ed è in tournèe in Spagna, con l’Honvéd dei miracoli. I carrarmati sovietici invadono Budapest e Ferenc ottiene asilo politico in Spagna, dove si accasa al Real Madrid. Saranno anni di trionfi inarrestabili. Dal 1959 al 1966 vince cinque volte la Liga e tre volte Coppe dei Campioni (nella finale del ’60, contro l’Eintracht segnerà quattro reti in meno di un’ora…) consacrandosi come monumento dello sport mondiale. Soldato pacifista, genio della pedata, spirito olimpico per eccellenza, zingaro dal cuore generoso. Più semplicemente, il migliore.