MARCONI AMICO DEGLI ULTRÀ
In attesa di significativi cambiamenti alla rubrica (dal prossimo mese…) vi faccio omaggio di un meraviglioso pezzo di Carlo Tecce sulle radio private: mai come oggi un mezzo per raccontare il calcio e la vita delle città.
Fabio Alessandria
Informate il legislatore del Regio Decreto del 1912: il mondo s’è capovolto. All’epoca, alla genesi della comunicazione di massa, furono costituite due società private a capitale pubblico: la Radiofono Italiana e l’Italia Radio Audizioni Circolari. Prima della «Grande Guerra» e della «Grande Censura», le radio trasmettevano solcando infrastrutture statali e previa approvazione dei palinsesti da parte del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni. Nel 2007, avvertendo le esalazioni della quarta Legge generale su RadioTv del ministro Paolo Gentiloni, convivono e sgomitano oltre duecento emittenti radiofoniche: da Radio Bella e Monella (Veneto) a Radio Maria, da Radio Babboleo (Puglia) a Radio Buon Consiglio. I riottosi anni ’70 sono la miscela esplosiva per scatenare la riproduzione della radio e con buona pace dello Stato, puntellato dalle assidue sentenze della Corte Costituzionale. La proliferazione della parole senza volto, evviva le nuove tecnologie, è nel pieno del suo splendore: il vecchio ripetitore, il pc casalingo e portatile, il telefonino. Guglielmo Marconi idolo degli ultrà: questa moda, però, nemmeno il legislatore del 1912 l’avrebbe pensata. Roma è la capitale della Radio: un biliardo, senza buche, dove ribalzano casi e rinfocolano polemiche. Le «radio romane» sono diventate un certificato di garanzia per i giornalisti, una tradizione (Lo Sport su Radio Radio risale al 1986) per gli anziani, un rito quotidiano e propiziatorio per i giovani: sono talmente numerose che, nell’estate 2006, hanno organizzato un vasto torneo di calcio a 5 al teatro Tendastrisce. La lista dei partecipanti farebbe arrossire la Lega Calcio: Nuova Spazio Radio e Radio Studio 93, Radio L’Olgiata.net, Radio Flash Più, Radio Rock, Radio Globo, Radio Città Futura, Radio Centro Fiuggi, Radio Città Aperta, Centro Mare Radio, Radio Tele Magia, Radio Meridiano 12. Tra le più “sportive” si annoverano Radio Radio, Radio Spazio Aperto, e Radio Centro Suono. L’elenco provoca fastidi alla vista e noie alla pazienza, ma è l’unico espediente per fare una prova, diluita in qualche secondo, dell’anomalia radiofonica romana. Il rapporto odio-amore tra Fabio Capello e il popolo giallorosso, ricordano gli archivi, è fluito (a singhiozzo) sulle radio: per la metropolitana, i taxi, i negozi, i bar e i carretti dei gelati appostati all’uscita delle scuole. Le baruffe tra Claudio Lotito e Paolo Di Canio si sono consumate, repliche incluse, nelle arene radiofoniche a conduzione ultrà. Il derby è in pareggio. C’è chi va a Roma e non vede il Papa, e chi passa per Roma e non resiste alla tentazione di ascoltare Marione, al secolo Mario Corsi, autore e fabulatore della trasmissione “Te la do io Tokyo” su Rete Sport, contorno del pezzo forte “Popolo giallorosso” di Carlo Zampa che, alle vigilie di Juve-Roma, riproponeva la promessa di Capello: «Mai alla Juve». Stessi colori, su Radio Incontro, Max Leggeri presenta “SPQR” (senza padroni, quindi romanisti), mentre su Radio Spazio Aperto, Alberto Mandolesi, risposta piccata al laziale Guidone De Angelis, patrocina “Quelli che hanno portato il calcio a Roma”. RSA, inoltre, è microfono aperto degli Irriducibili biancocelesti con la “Voce della Nord”, fratello gemello di “Lazio&Company” su Radio Incontro. Ricco menù per Radio Radio, catechizzata dagli illustri interventi dei direttori del Corriere dello Sport-Stadio (Alessandro Vocalelli), di TuttoSport (Giancarlo Padovan) e del cultore dell’opinione di cuoio, Mario Sconcerti. Le particelle di sodio delle radio private danno fastidio: non soltanto alle comari nazionali, ma persino ai colossi dell’informazione e della comunicazione. Ansa e Telecom, per citare un precedente del ‘99, hanno violentemente protestato contro «l’illimitata e gratuita informazione delle piccole radio». La questione è figlia legittima della vendita collettiva dei diritti sugli eventi calcistici: idea della Lega Calcio, soldi della Telecom. Nonostante l’intervento diplomatico dell’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, istituita dalle legge Maccanico del ’97), la Lega concesse il palliativo di 6 minuti su 45 per le cronache in diretta dagli stadi. Il contenzioso non è stato disciplinato giuridicamente, inzuppato nel Testo Unico della Radiotelevisione (2005, 12 mesi dalla Legge Gasparri), e resta la priorità alla forza del denaro: la Rai ha il monopolio delle dirette, altre s’avvalgono (pagando) dei diritti delle singole squadre e i più poveri confidano nel diritto di cronaca e, spesso, sforano le tre finestre a tempo. Gli incidenti di Catania, paradossi italiani, hanno svolto il ruolo di propellente per la modifica formale (etica) e non sostanziale (diritti di cronaca) del sistema radiofonico. Il Ministro Gentiloni, sostenuto dall’editoria e dai giornalisti, ha proposto una revisione del Testo Unico e una ingente somministrazione di poteri censori all’Agcom per «valutare iniziative nei confronti di chi usa i media per alimentare la violenza negli stadi». Rimandando ai posteri, nel fresco presente: radio MilanInter, solleticata dai successi, ha appena annunciato l’aumento di bande e programmi. E le crisi, di pecunia e fantasia, restano mistero per il firmamento radiofonico.