I BIMBI D’ORO
GESU’ CRISTO E IL DIAVOLO
Mi si permetta, per la prima volta da quando esiste questa rubrica, di parlare per alcune righe di Milan, fresco campione d’Europa per club, per sottolineare alcune questioni non affrontate dai giornalisti seri. Mi si conceda di giocare un po’, spernacchiando gli statistici del calcio, cresciuti alla fonte di Tosatti e alimentati dal di lui figliolo ed erede Mario Sconcerti. Nel ciclo di Ancelotti (anche se lo si sente spesso chiamare Ancelllotti…), 2 coppe campioni in 5 anni, stanno racchiusi tutti i successi delle altre italiane nell’Europa dei grandi: 2 successi complessivi per la Juve (il primo fu nella notte del Heysel, ma ne teniamo conto per non farci bucare le gomme dell’auto), e 2 coppe consecutive anche per la Grande Inter di Herrera e Moratti padre, nei mitici anni Sessanta. Poi il nulla, rossoneri esclusi. Alla faccia di quelli che ne sanno di calcio secondo cui Ancelotti era un sopravvalutato, un perdente di successo, quando non, nei favolosi anni Novanta, addirittura un maiale… La vittoria dell’ultima Champions milanista ha meravigliosi punti di contatto con il successo europeo rossonero del 1969. Anche allora la stampa diceva che Rocco era ormai un allenatore superato (ad eccezione di Brera, suo amico di bevute, che lo difese solo in quanto alfiere dell’italianità calcistica…), che la squadra era bollita e vecchia (Hamrin, Trapattoni e altri non erano certo dei giovanotti…). Rocco fece esattamente come Ancelotti. Dentro due bei mediani (il Trap e il Basleta Lodetti, padre calcistico di Gattuso), difesa attenta, un buon portiere e un grande centravanti (Pierino Prati, che mise a segno una tripletta nel 4-1 della finale con l’Ajax). Alla fine il Paròn vinse in contropiede, esattamente come Carletto. Il vero protagonista della cavalcata in coppa Campioni è stato, oggi come allora, il numero dieci. Nel ’69 fu il “Golden Boy” Gianni Rivera, autore di una stagione strepitosa e vincitore del Pallone d’Oro in quell’anno. In questa stagione il trascinatore (e probabile Pallone d’Oro) è stato Kakà, numero dieci in tutto meno che sulla maglia, capocannoniere della manifestazione ed erede assoluto di Rivera. Per carisma, classe, profilo morale e perfino nel soprannome. Kakà viene curiosamente chiamato “il Bambino d’Oro”, a buon intenditor… Quel brocco di genio di nome Filippo Inzaghi, incapace di stoppare una palla e meno che mai di dribblare un avversario, entra, grazie alla doppietta nella finale di Atene 2007, nella categoria dei grandi attaccanti del Milan. Gli unici punteros capaci di una impresa simile sono stati Altafini nel 1963, Prati nel 1969, Gullit e Van Basten nel 1989, Massaro nel ’94 e Crespo nella tragica notte di Istanbul 2005. Rapace dell’area di rigore di scarsissimi fondamentali ma enorme istinto, Superpippo è l’apoteosi dell’italianità calcistica. Re del rimpallo, della deviazione sottoporta e dell’acrobazia. Della serie il pedatare è mimesi di vita segnaliamo l’incredibile immagine vista alla fine di Milan- Liverpool. Steven Gerrard, capitano dei Reds, cammina in lacrime, i milanisti in festa ai limiti dell’osceno e Ricky Kakà inginocchiato a centrocampo, a braccia larghe, occhi chiusi a pregare, in una specie di trance mistica. Poi via, sotto la curva, battendosi la mano sul cuore. La segnalazione letteraria del mese, per quanto detto fino a qui, tocca al bel volumetto di Andrea Maietti (storico collaboratore di Brera): Nato a Betlemme, Limina, 10 euro, meravigliosa mistura di ritratti e aneddoti riguardanti uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi: Gianni Rivera.