I CONSIGLIATI DI PEGASO
Manituana
Wu Ming
Einaudi
euro 17,50
Uscito il 20 marzo, dopo anni di lavoro e ricerca, l’ultimo lavoro del collettivo Wu Ming, Manituana, che ricalca lo stile e la struttura di Q, in un serratissimo alternarsi di voci narranti, personaggi e punti di vista. Come il suo celebre predecessore, Manituana vuole riscrivere la storia dalla parte dei vinti, circoscrivere quei momenti del passato in cui violenza e potere hanno soffocato altre possibili vite e storie. Manituana è ambientato negli anni immediatamente precedenti alla rivoluzione americana, dal 1775 al 1779, per ricostruire la nascita di una grande civiltà, diventata simbolo della grandezza e della libertà occidentali, partendo dai suoi lati violenti, sporchi e di massacro. Frutto di un quinquennale lavoro di ricerca, Manituana è il primo romanzo di quello che dovrebbe essere un trittico che ha come protagonista la nascita della nazione americana, che, nelle intenzioni degli autori, li terrà occupati fino al 2012.
Il romanzo è anche un testo interlineare, che lungo la sua stesura è stato accompagnato da commenti, critiche e contributi sui siti dedicati al libro (www.wumingfoundation.com e www.manituana.com) dai vari blogger e lettori, fedeli all’idea del nome e progetto collettivo e molteplice che Luther Blisset prima e Wu Ming adesso intendono incarnare. Manituana indica, nella loro lingua madre, il territorio del nord-est americano, che da New York e Boston arriva in Canada e nei pressi del Lago Ontario e dell’attuale Chigago, terra natia della popolazione indiana Mohawk, comprata a suon di rum e truffe e poi sterminata in pochi anni a cannonate dai coloni europei. I Mohawk insieme ad altre grandi cinque popolazioni indiane, formano la Nazione Irochese, o Lega delle Sei Nazioni, destinata a scomparire con la guerra fra inglesi e francesi. Il romanzo germina proprio negli anni cruciali subito prima del 1776, quando un mondo intero fu sterminato in nome di uno migliore. Gli autori tentano di rileggere così anche tutto l’apparato simbolico che qui nasce e si solidifica della “cultura occidentale”, dove Occidente significa estremo west, tramonto, morte. La trama contiene in ogni momento un implicito “what if”, quello che gli storici chiamano “ipotesi controfattuale”, un’altra storia, un’altra realtà cancellati dal novero degli eventi possibili, non certo per un irresistibile destino di progresso della storia ma in forza di armi, uccisioni e massacri. In stile Wu Ming, gli autori mescolano eventi storici e costruzioni letterarie, personaggi realmente esistiti e macchiette narrative, nel tentativo di rileggere la storia americana e dell’occidente dagli occhi di chi ne è stato escluso. Come Joseph Brant, capo Mohawk, nome indiano Thayendanega, è vissuto ad esempio storicamente. Fra i maggiori personaggi del romanzo, assurge il ruolo di simbolo di un popolo inconsapevole condannato alla scomparsa, velocemente caduto in un vortice di disperazione e di senza terra, tramutato in una violenta e cruenta lotta contro i coloni, le loro famiglie e le loro case. O Philippe Lacroix, indiano Mohawk di origini francesi, amico e compagno di Joseph Brant, è un personaggio inventato, e, al contrario del capo indiano, intuisce il destino della popolazione irochese, e sa che la logica della frontiera è la logica del massacro, in cui vince sempre la potenza del numero, i milioni di nuovi coloni contro popoli indiani di poche centinaia. A forti tinte politiche, Manituana, nel raccontare il tentativo di unire le forze contro una politica invasiva, impositiva e dissennata, è anche un riferimento alla nostra attualità, rinnovando, come in tutti gli altri romanzi targati Wu Ming, quelle storie di libertà e rivoluzione che la Storia ha ucciso e cancellato.
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