UN VENTICINQUE APRILE FRA LETTERATURA E STORIA


La figura di Giovanni Guareschi, padre di Peppone e Don Camillo, è stata al centro di un incontro tenutosi la sera del 25 aprile scorso presso la sala civica della Torre Gonzaghesca. A tracciarne un profilo storico-letterario è stato il giornalista e scrittore Giovanni Lugaresi per oltre trent’anni redattore del Gazzettino di Venezia nonché presidente del “Club dei Ventitré” , associazione culturale che si occupa della diffusione delle opere di Guareschi. Su invito dell’Amministrazione Comunale, Lugaresi, con la sua dialettica sicuramente appassionata, ha mostrato ai presenti un lato forse poco noto del celebre scrittore il quale, dopo l’8 settembre 1943 in un clima di sfacelo generale, venne internato in un campo di prigionia tedesco per essersi rifiutato di collaborare con i nazisti o di aderire alla Repubblica di Salò. Il racconto della sua esperienza nel lager, raccolto e pubblicato in forma diaristica, ci ha permesso di scoprire un Guareschi subito attivo nel sostegno ai compagni di prigionia: si improvvisò infatti autore di “giornali parlati” ma anche di semplici battute umoristiche e di favole nell’intento di tenere alto il morale di chi condivideva con lui quell’esperienza che, seppur disumana, non sarebbe di certo riuscita a trasformarli in bruti. Coerente fino all’ultimo, rifiutò la proposta del comandante dell’esercito tedesco in Italia di dirigere una rivista umoristica a Milano, che gli avrebbe permesso di lasciare il campo già nei primi mesi del 1944. Pensieri forti come quello secondo il quale la “Signora Germania” con tutti i suoi reticolati non avrebbe potuto impedire agli internati di esercitare attraverso la fede, i ricordi e l’immaginazione una impagabile libertà interiore, costituiscono il fondamento di una personalità certamente fiera (“Io non muoio nemmeno se mi ammazzano”), ma non violenta e vendicativa. Il punto di approdo delle riflessioni di Guareschi, sintetizzabile nella frase “sono passato attraverso questo cataclisma senza odiare nessuno”, avrebbe potuto, secondo Lugaresi, aprire le porte ad un immediato dopoguerra all’insegna della riconciliazione nazionale, perché pronunciata da un italiano alleato dei tedeschi e poi prigioniero degli stessi tedeschi, che ha avuto la casa bombardata da quegli anglo-americani che poi lo liberarono. La serata si è conclusa con la lettura da parte di alcune rappresentanti della compagnia teatrale “Le Maschere” de La Favola di Natale guareschiana, che lui stesso scrisse e lesse la mattina del 25 dicembre ai compagni prigionieri.


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