I LIBRI DELLA CIVETTA

di Luca Cremonesi


La leggenda dei monti naviganti
Paolo Rumiz
Feltrinelli
euro 18

Bello, intenso, profondo e colto. “È un viaggio di ottomila chilometri che cavalca la lunga gobba montuosa della Balena-Italia lungo Alpi e Appennini, dal golfo del Quarnaro (Fiume) a Capo Sud (punto più meridionale della Penisola). Esso parte dal mare, arriva sul mare, naviga come un transatlantico con due murate affacciate sul mare, e lungo tutto il percorso evoca metafore marine, come di chi veleggiando forse vola – in un immenso arcipelago emerso. Trovi valli dove non esiste elettricità, grandi vecchi come Bonatti o Rigoni Stern, ferrovie abitate da mufloni, case cantoniere e paracarri da leggenda, bivacchi sotto la pioggia in fondo a caverne, santuari dove divinità pre-romane sbucano continuamente dietro ai santi del calendario. E poi parroci bracconieri, custodi di rifugi leggendari, musicanti in cerca di radici come Francesco Guccini o Vinicio Capossela. Un’Italia di quota, poco visibile e poco raccontata, dove la tv sembra raccontare storie di un altro pianeta. Le due parti – o forse i due “libri”, alla maniera latina – del racconto, Alpi e Appennini, hanno andatura e metrica diversa. Le Alpi sono pilastri visibili, famosi; sono fatte di monoliti bene illuminati e sono transitate da grandi strade. Gli Appennini no: sono arcani, spopolati, dimenticati, nonostante in essi si annidi l’identità profonda della Nazione. L’altra differenza è che sulle Alpi non c’è mezzo di trasporto unitario e si fotografa una serie di luoghi monografici (per esempio: il lago del Vajont che non c’è più, il tunnel del Gottardo durante lo scavo), spesso senza dire del viaggio che collega i fuochi della narrazione. Sugli Appennini, invece, il mezzo di trasporto è unitario e la strada assume un ruolo preponderante, assieme alle persone incontrate secondo una trama casuale”. Mi pare una buona sintesi dello splendido volume che Paolo Rumiz, raffinato giornalista di Repubblica, pubblica per Feltrinelli.
Paolo Rumiz, nato a Trieste, inviato speciale del Piccolo di Trieste ed editorialista de La Repubblica dal 1986 segue gli eventi dell’area balcanico-danubiana. Sono 339 pagine che avvolgono il lettore e lo portano lontano e lo fanno riflettere: privilegio dei testi dei grandi autori e dei grandi giornalisti. Un viaggio fra le montagne italiane con una tesi forte da dimostrare e, soprattutto, da argomentare: la montagna è stata abbandonata, prima sfruttata, poi celebrata, ora completamente dimenticata. Rumiz viaggia sulle Alpi, zaino in spalla, e ciò che, come un’anomalia, ognuno di noi può scorgere all’orizzonte, diventa l’occasione per narrare vicende che trascendono la stessa montagna. Tanti sono gli incontri sulle Alpi e sugli Appennini, molte le conversazioni nelle quali si narra la storia della montagna ma anche, ed è questo uno dei pregi del volume, la storia a noi più contemporanea. Il “nostro” Fausto De Stefani, uno dei pochi alpinisti ad aver scalato tutti gli 8.000, accompagna Rumiz sull’Adamello e il racconto di quell’avventura è fra le pagine più intense del libro… e non potrebbe essere altrimenti data la profondità umana e culturale di Fausto De Stefani. Gli Appennini sono attraversati su una vecchia Topolino che permette a Rumiz di recuperare la lentezza, valore da portare nel nuovo millennio, dimensione utile tanto quanto necessaria per leggere il testo e vivere la montagna. Un testo da gustare in solitudine, magari stesi su un prato con lo sguardo rivolto alle Alpi. Buona lettura.


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