MALEDETTO COPERNICO
SCIENZA DELLA FOLLIA - FOLLIA DELLA SCIENZA

di Luca Cremonesi

Il 17 maggio è andato in scena, al Teatro Sociale di Castiglione delle Stiviere (con replica il 23 e il 24 al Teatro Ariston di Mantova) lo spettacolo Maledetto Copernico Scienza della follia. Follia della scienza curato e interpretata dall’Istituto Superiore F. Gonzaga e dai pazienti dell’OPG di Castiglione delle Stiviere. “La compagnia teatrale AIEMm nasce a Febbraio 2006 all’interno dell’O.P.G. di Castiglione d/Stiviere. Immaginiamo il nome come la pronuncia di due parole in inglese: dice I AM. Ci sono, esisto. Prendimi in considerazione. Una seconda m, stavolta minuscola, avverte: MAD. Una sentenza del Tribunale mi ha definito matto.
Non chiudermi dentro, guardami e ascoltami. Nel 2006 la Compagnia, alla sua prima esperienza, ha mandato in scena il suo primo spettacolo La Signora Sally 1 e 2; quest’anno ha raccolto la partecipazione degli studenti dell’Istituto Superiore Statale Francesco Gonzaga. La compagnia mette oggi in scena Maledetto Copernico! e ripercorre il tema della Follia alternato a quello della Scienza, con sapide, spesso umoristiche sovrapposizioni ed interferenze fra ciò che è, ciò che appare e ciò che si crede”. La compagnia è stata organizzata e guidata da Claudio Fraccari. Lo spettacolo era stato presentato l’11 maggio nell’ambito di Libriamoci, l’iniziativa curata dall’Associazione culturale Frammenti presso i locali di Villa Brescianelli. Resa giustizia ai fatti, passo a render giustizia allo spettacolo e al lavoro degli attori e delle attrici, veri protagonisti dell’intera operazione. Il problema non è la Ragione, ma il razionalismo. In estrema sintesi potrebbe essere questa una delle possibili interpretazioni dello spettacolo. Costruito sullo schema di una libera associazione di situazioni (un po’ come il metodo impone) Maledetto Copernico rende parecchi omaggi al teatro contemporaneo (Pirandello, Brecht, Beckett solo per citare una divina triade). Composta da una lunga somma di piccoli quadri e da frammenti di pensiero, la messa in scena ci regala, in un’ora e mezza che letteralmente vola via, una buona prova da parte di tutti i protagonisti coinvolti nel progetto. La recitazione acquista intensità perché traspaiono la tensione e la paura, da parte di chi sale sul palco, mixate con la consapevole gioia di un’operazione che è pienamente riuscita: far dialogare fra loro due istituzioni educative e, soprattutto, farle interagire con il territorio al di fuori dei canali mediatici che, come sempre, raccontano solo ciò che la gente affamata di immagini stereotipate vuol vedere e acquistare. Non si dovrebbe mai dimenticare per cosa si è famosi. Soprattutto non si dovrebbe dimenticare che la nostra fama ripetitiva, dettata e imposta cioè, in anni orribili di una decade malefica, dalle caratteristiche intrinseche di alcuni media è sempre legata a un chiaro e preciso bisogno indotto. Questa operazione teatrale, dunque, è un primo passo per avvicinare due realtà televisivamente distanti dalla ribalta. Il lavoro è duro perché impone di non passare per la via preferenziale dei grandi media. Si tratta in molti casi di sforzo snervante e spesso poco gratificante nel breve periodo. Al pubblico il compito di sostenere queste operazioni perché l’incontro è fondamentale oltre a essere l’unico modo, da sempre, per conoscersi e far nascere il pensiero. Platone, nel mito della Caverna, insegna che l’immagine non è mai la verità e, aggiunge, fuggire dalle immagini è cosa faticosa perché, affascinandoci, esse ci catturano, ci tengono prigionieri e ci rendono schiavi di chi gestisce e costruisce immagini. Il teatro deve avere questa forza: distruggere l’immagine per creare un immaginario che possa trafiggere le immagini dominanti. Il teatro, già lo scrissi, è Pinocchio: serve vendere l’abbecedario e fuggire per viverne la magia unica (ma anche inchiodare un po’ di libri ai tavoli non è male). Si tratta, a tutti gli effetti, di un atto di follia agli occhi drogati dalle immagini televisive - vere icone della contemporaneità - e dai cliché che esse ci impongono e che ci vorrebbero casa, chiesa, tele, cosa e, soprattutto, buoni e ubbidienti al can che abbaia (che, come ben si sa, non morde mai…). Un tocco di follia, dunque, come con un poco di zucchero la pillola va giù! Troppo comodo! Questo modus operandi, questa scusa utile per lavare i panni sporchi in casa ha da finire perché si deve capire, come afferma Giovanni Jervis, che “la nostra mente funziona in modo molto meno logico e razionale di quanto pensiamo, perché il nostro modo di ragionare segue canali che controlliamo molto meno di quanto pensiamo. Nella nostra mente c’è molto più inconscio che coscienza, e questo lo dimostrano gli attuali studi di psicologia scientifica”. Come l’occhio vede a partire da un punto cieco, che si trova nel suo mezzo, così la mente (l’organo della Ragione) inizia a pensare e a funzionare là dove incontra, si confronta, vive e dialoga con la follia. Non si tratta di buonismo (che bello aver incontrato i matti e aver scoperto che in realtà siamo come loro… discorso discriminante e ipocrita), ma di capire che ciò che chiamiamo follia è una categoria sociale buona per non assumersi responsabilità. Il gesto folle è un’eccezione, ma quando si pensa per eccezioni si ammette l’esistenza di una normalità normalizzante di cui l’eccezione è la trasgressione. Lo spettacolo “criticava” chiaramente questo modo di affrontare il problema con, a mio avviso, un artificio interessante: il rigore scientifico, la Ragione per eccellenza, nasce dalla follia… meglio ancora, la Ragione ha al suo centro una dose (proprio in quel senso) di follia! La scienza è un pensiero che sopporta e sorregge una buona dose di follia e riesce, grazie al proprio metabolismo, ad assimilarla trasformandola in sostanza utile alla vita. Quando il fisico non è in grado di metabolizzare le sostanze tossiche, si ammala e muore. Allo stesso modo la Ragione: quando non sopporta la follia si ammala ed essa prende il sopravvento. Questo modo di affrontare il problema – intellettuale e non clinico, ne sono consapevole, ma anche i clinici sanno bene di cosa tratto… – legge e pensa la follia come un mondo altro necessario e indispensabile affinché funzioni la Ragione. È la vittoria del Paese delle Meraviglie sulla Repubblica ideale (ma razionale) di Platone. Questo non vuol dire che siamo tutti matti da (s)legare, ma che anche la follia è un pensiero che ha una sua logica e soprattutto, ed ecco l’eresia principe del pensiero occidentale, una sua diversa struttura razionale… Si tratta di vedere il mondo con gli occhi di Spinoza: ci sono buoni incontri, che fanno crescere la nostra potenza (la nostra vita) e cattivi incontri che uccidono. Un buon incontro fra Ragione e follia produce la scienza, ma anche la letteratura (come ci mostra lo spettacolo); un buon incontro tra fede e ragione dovrebbe (o potrebbe?) produrre una buona civiltà; un buon incontro fra ragazzi e pazienti produce un ottimo, intenso e coinvolgente spettacolo.
Complimenti!


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