C.I.M.
MOLTO PIU’
CHE UNO SPETTACOLO TEATRALE

di Chiara Sabbadini

Cinque minuti ininterrotti di applausi, la gente in piedi, commossa. Simone Cristicchi è anche questo. Lo spettacolo è stato pubblicizzato poco, e male, dato che la stessa Gazzetta di Mantova promuoveva un concerto, cosa che assolutamente non era. Le persone però c’erano, pronte a farsi coinvolgere ed emozionare. L’impatto emotivo di questo spettacolo, che si chiama Centro di Igiene Mentale, è molto forte. Come si intuisce dal titolo, il cantautore romano, viaggia per l’Italia presentandoci le situazioni drammatiche dei manicomi del secolo scorso, e le persone che li vivevano. Il “personaggio” principale è Simone, detto Pendolino, perché si muove in continuazione… Avanti e indietro, avanti e indietro… Pendolino è un giovane ragazzo che si rapporta con gli altri del manicomio, dell’ospedale… Li conosce e ce li fa conoscere, li corregge, nota le loro stranezze. E così Angelo il custode, Margherita, il Cicala, la Signora dei Navigli, Francesco, Carmela, Antonio, tutti diventano reali ai nostri occhi, attraverso le parole di un giovane ragazzo giunto, ahimè troppo presto, in quella che era la sua prigione. La promiscuità di sensazioni che si prova assistendo ai racconti è decisamente incredibile. Simone ci parla delle “terapie”, delle torture, dei trattamenti eccessivamente crudeli, paragonati addirittura alle situazioni dei lager nazisti, che i “nostri” personaggi hanno vissuto a Volterra, a Savona, a Cogoleto, a Siena, per quel che ne sappiamo anche Castiglione potrebbe essere stato, un tempo, uno di quei posti, anche se in maniera giudiziariamente diversa… Le vicende narrate vengono mescolate, e si alternano, a pezzi musicali, frammenti video, immagini di repertorio. Dramma e realtà insieme a spettacolo e intrattenimento, in maniera non superficiale. Perché Pendolino fa cantare anche noi che siamo spettatori della sua vita, ci fa muovere le mani e le braccia, ci fa anche sorridere a volte. Molto toccante è la lettura di alcune tra le centinaia di lettere che sono state trovate negli archivi di queste prigioni. Lettere che i reclusi scrivevano a parenti, amici, addirittura al re, convinti che sarebbero loro arrivate, e che invece finivano a rimpinguare le numerose cartelle cliniche. Perché i matti non possono avere contatti con l’esterno, perché i matti sono chiusi in una sorta di bolla, che fluttua nel tempo staccata dal mondo, con cui non scambia notizie. Non per niente venivano usate, dopo quasi due secoli di inutilizzo, le strutture dei lebbrosari. La cosa più terrificante è che tra loro ci sono persone con problemi di mente reali, cosa già di per sé difficile da stabilire, ma ci sono anche persone che non hanno altra patologia che l’incapacità di mantenersi, perché orfani o vedovi, persone che sono semplicemente rimaste sole, come l’Antonio di Ti regalerò una rosa… E quando Simone si chiede, e ci chiede, con una voce dolce e tremante se non sia peggio la nostra sanità mentale, quella che inventa guerre, che crea l’ipocrisia, la falsità, la perfidia, piuttosto che l’oligofrenia, che permette all’uomo di vivere in “completa naturalezza”, senza bisogno di ferire altre persone, senza sotterfugi, senza malizia, c’è un momento di perplessità nella maestosità del teatro in visibilio. La gente non applaude più, non respira quasi, ma si interroga. Si pone l’interrogativo che Pendolino nella sua ingenuità ha posto come provocazione. Perché lui sa che i matti che ci sono lì dentro sono meno pericolosi dei matti che ci sono fuori, quelli dall’altra parte del cancello. È un cancello che li divide dal mondo, niente altro. Un cancello che alcuni di loro provano a superare, Margherita, Antonio, anche Simone, alla fine, dice che sta “per partire”…
Tutto finisce con la canzone che ha permesso a Simone, questa volta il cantautore, di far conoscere questo suo lavoro, Ti regalerò una rosa. La canta in modo sincero, struggente, e le parole sono come piccole schegge. Non si vedono, non fanno male, ma sono restate in noi, e ogni tanto riemergeranno per ricordarci quelle cose, bruceranno un po’. Per ricordarci di Antonio, che aspettava Margherita, credendola nel mondo, perché aveva scavalcato il cancello. Margherita è morta, ed è morto Antonio, così come Angelo, la Signora dei Navigli e tutti i loro ricordi. Ma c’è ancora qualcuno del C.I.M., e ne parla, nella sua pazzia, lucidamente. Ci parlano di elettroshock, di camicie di forza, di cinghie e terapie, di cose che sono state reali. E noi restiamo inermi, a chiederci se davvero la legge italiana ha permesso tutto questo. Sì, lo ha permesso e legalizzato, fino a pochi anni fa. Troppo pochi. Così restiamo ad ascoltare attoniti, parola dopo parola, e poi cantiamo, e poi ascoltiamo Simone che suona alcune canzoni-tormentone evidenziando quanto siano costruite e cretine. Parla di musica Simone, riprendendo il suo lavoro iniziale, quello del fabbricante di canzoni, ci mostra come le canzoni non siano più poesia ma mera strumentalizzazione di un motivetto fabbricato su misura per “l’artista”. Sono finiti i tempi di Vorrei cantare come Biagio Antonacci?! No, Simone ci scherza, ricorda di quell’estate in cui è diventato famoso, e forse cominciamo a capire il vero senso di quella canzone. Siamo talmente poco abituati all’ironia, che lo abbiamo preso per il solito, stupido, insopportabile tormentone estivo. O forse così è stato perché non ci siamo fermati ad ascoltare a sufficienza, come per Fuori dal tunnel (Michele Salvemini n.d.r.). Comunque sia, Simone Cristicchi, con questo spettacolo teatrale molto ben fatto e molto empatico, dimostra le sue capacità artistiche a tutto tondo. Perché è solo sul palco, con quattro musicisti, e canta, recita, parla, legge, improvvisa, scherza, regala sorrisi. È veramente in gamba questo capellone romano, anche se non fa vanto delle sue doti, anche se non sfrutta la sua immagine per sponsorizzarsi, tanto che questo spettacolo che da circa due anni è itinerante per la penisola risulta sconosciuto ai più. Questo da lui creato è davvero uno spettacolo che vale la pena vedere, perché non ce lo si aspetta così, perché non ci si può immaginare l’emozione che viene trasmessa assistendovi. Finché non ci si trova a chiedersi “ma davvero è successo tutto questo?”, non lo si può capire, e forse nemmeno a quel punto lo si capisce, basta lasciarci trasportare, da quelli che quando usciremo, sentiremo come i nostri amici del Centro di Igiene Mentale.


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