CHIARE, FRESCHE E DOLCI ACQUE NON IN BOTTIGLIA

di Luca Morselli

“In Italia l’acqua è una risorsa finanziaria e, quindi, viene privatizzata. Dove prima c’era una sorgente, una fontana pubblica sono arrivati gli imprenditori. I mercificatori dell’acqua. Un bene primario si è trasformato in azioni, in asset, in profitto. L’acqua deve restare in mani pubbliche, le nostre mani. Se non funzionano gli acquedotti pubblici, se sono bucati, vanno riparati, anche a calci nel c..o. I privati devono starne fuori”.
Poche righe tratte dal blog di Beppe Grillo del 23 marzo 2007 per denunciare l’ennesimo caso di mancanza di cultura e di un paradigma etico del consumo: quello dell’acqua. In Italia vengono infatti consumati ogni anno 170 litri di acqua imbottigliata per abitante, a dispetto di una media europea di 85 e una mondiale di 15. Vuol dire che ogni abitante consuma in media 90 bottiglie di plastica e una trentina di vetro. La popolazione italiana ha 55 milioni di abitanti. Dunque ci sono quasi 5 miliardi di bottiglie di plastica da smaltire. Un consumo di acqua confezionata che produce 100.000 tonnellate di rifiuto urbano all’anno. L’acqua imbottigliata ha un costo tra i 30 e i 50 centesimi, cui si sommano i costi di smaltimento del contenitore, di vetro, ma più spesso di plastica, mentre 1000 litri di acqua da acquedotto non costano più di 1 euro. Alcuni, significativi, dati, alla luce del disegno di legge voluto dal Ministro degli Affari Regionali (Margherita) Linda Lanzillotta, che intende liberalizzare il ramo “idro” dei servizi pubblici. Lasciare cioè la proprietà degli acquedotti italiani a società a capitale pubblico, ma attirare anche capitali ed investimenti privati, dando la gestione degli stessi acquedotti in mano a società private, tramite apposite gare d’appalto e moratorie. L’intenzione del disegno di legge è quella di migliorare così la qualità del servizio, garantendo maggiore affidabilità, controlli e limitazione dell’acqua perduta. I maggiori acquedotti italiani sono però già delle Spa: la Smat di Torino, la Mediterranea delle Acque (gruppo Iride, che fa capo ai Comuni di Torino e Genova), la Società Acque Potabili (ex Italgas), l’Acea del Comune di Roma e l’Acquedotto pugliese, che impiegano complessivamente 30mila persone con impianti industriali, infrastrutture e reti che attraversano tutto il territorio. Il servizio idrico così distribuito fattura ogni anno una cifra intorno ai 2,7 miliardi di euro, che, per ovvie ragioni, fa gola a molte aziende e società. Se confrontiamo poi le perdite d’acqua dei maggiori acquedotti, pari al 32 % per l’Acea di Roma, il 33 % per l’ASM di Brescia e addirittura il 49,1 % per l’Acquedotto Pugliese, diventa evidente la necessità di apportare migliorie tramite investimenti strutturali e ricerca di nuove e più efficienti tecnologie. L’acqua dell’acquedotto è una risorsa che in Italia costa ancora relativamente poco, mediamente 1 euro per mille litri, a fronte di 2,5 euro della media europea, e per questo la sua qualità e il suo consumo intelligente devono essere salvaguardati. Accanto a questo, abbiamo un proliferare di acqua imbottigliata, che produce una quantità spropositata di rifiuti ogni anno e vive del “mito” di essere più buona, pulita e pura di quella potabile, surrogata da un’invasione di starlette a mezzo regime su giornali e tv, che si fanno protagonisti di decine di pubblicità inutili, false e dannose di questo o quel tipo di acqua. Legambiente, Greenpeace e la FAO da anni denunciano l’allarme di questa invasione di acqua imbottigliata, che costa diecimila volte di più di quella del rubinetto ed il suo consumo è inspiegabile in paesi come l’Italia, che dispongono di una riserva idrica di eccellente qualità. Anche i limiti di sostanze nocive prescritti dalla legge sono molto più alti e tolleranti per quanto riguarda l’acqua imbottigliata: se la presenza di arsenico supera infatti i 50 microgrammi per litro, l’acqua non è più considerata potabile, mentre quella minerale può contenerne tracce fino a 200 microgrammi per litro. Come il cadmio, 5 mg/l per l’acqua potabile e 10 mg/l per l’acqua minerale, o il nichel, che nell’acqua minerale non deve essere neppure segnalato. Inoltre, ogni acquedotto per legge effettua il controllo della qualità della sua acqua ogni massimo 2 o 3 giorni, mentre il controllo della qualità di ogni singola bottiglia che troviamo sull’etichetta risale ad almeno 10 mesi o 1 anno prima. Non comprare acqua in bottiglia è una questione politica e di consumo critico, che toglie forza ai grandi marchi, ricchi dell’ignoranza diffusa relativa alla qualità dell’acqua che mercificano. Difendere gli acquedotti, migliorandone l’efficienza ed evitando la completa deriva privatistica è invece questione istituzionale, che deve essere difesa coi denti. Un impegno politico, che, se anche qui torniamo indietro a spulciare, era compreso nel malloppone di 278 pagine del Programma dell’Unione, a imperitura memoria dei nostri dipendenti della casta blindata memori solo della poltrona.


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