EVASI D’ITALIA
DI LUPIN III


L’evasione fiscale è da almeno 30 anni un problema rilevante in Italia. Recentemente, vari giornali, ministri e rappresentanti del mondo industriale vi ha fatto riferimento. È stato stimato (www.lavoce.info/news/view.php?cms_pk=1979) che la ricchezza occultata al Fisco equivale a circa il 30% del PIL. L’evasione è un problema complicato, ma la cui origine è nel rapporto tra stato e cittadino, poiché la sua dimensione origina un ulteriore problema: le tasse non incamerate non possono coprire la spesa pubblica (che cresce per tutti) oppure permettere un taglio generalizzato delle tasse (che crescono solo per alcuni). Accanto a questi elementi subito chiari l’evasione pone un’ulteriore problema di efficienza ed equità. Dal punto di vista dell’efficienza, l’evasione fiscale è un enorme costo per la nostra economia: evadere le tasse comporta un rilevante dispendio di risorse monetarie e temporali in attività non produttive (ci sarà un ragione del perché esistono i commercialisti). In termini di equità il problema nasce dal fatto che non tutti gli individui hanno la stessa possibilità di evadere le tasse. Vi sono enormi differenze tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti, e tra individui monoreddito e individui con una pluralità di fonti di reddito: questa disparità comporta un inasprimento del peso fiscale su alcune categorie piuttosto che altre. Fatte queste premesse cerchiamo di comprendere, almeno da un profilo teorico-metodologico, il perché di un trend in crescita dell’evasione fiscale. In Italia da almeno 30 l’evasione fiscale cresce, guarda caso come i controlli (logico) e, soprattutto, la spesa pubblica (la macchina statale non funziona). Questo fatto, verificabile empiricamente, è il nocciolo basilare del grande problema politico italiano: la mancanza di etica. Se da un lato si tendono a creare posti di lavoro per decreto (spesa pubblica improduttiva), si elimina qualsiasi forma di controllo sull’efficienza nella spesa pubblica, si evitano qualsiasi riforma strutturale che modifichi in positivo e nel lungo termine le modalità di formazione delle aspettative degli agenti economici, ne consegue che è automatico l’atteggiamento che il contribuente tende ad avere verso l’autorità. Per riassumere, nel pensiero del contribuente “…si spende molto, si spende male, manca un progetto di lungo termine, le soluzioni sono sempre di tamponamento, i miei soldi li tengo io…” L’ipocrisia del sistema è tale che per rincorre il problema evasione si aggravano le procedure di accertamento e il peso amministrativo, accrescendo ulteriormente l’apparato statale (si burocratizza ulteriormente la macchina che richiede più personale e più risorse): questo stimola ulteriormente i contribuenti ad evadere, vista l’efficienza con cui sono gestite ed investite le risorse. Per uscire da questo corto circuito è necessario ridisegnare i meccanismi di spesa che vengono finanziati con le tasse: solamente così si può imboccare un percorso virtuoso che impone allo stato chiarezza ed efficienza nella gestione delle risorse finanziarie, mentre per il cittadino diverrà meno ostico e assurdo adempiere agli impegni. Per questo non servono soluzioni fantascientifiche, basta guardare cosa hanno fatto in questi decenni le democrazie del Nord Europa. Conoscendo però il mondo politico italiano è quasi automatico, come la polemica del “tesoretto” insegna, capire come un gettito extra verrebbe impiegato: meglio prebende e regalie piuttosto che spesa pubblica in investimenti o abbattimento del debito o taglio delle tasse, e il gioco continua…


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