IL BATTITO DELL’AFRICA
La grandezza di un artista non la si misura certo in base alla più o meno ingente folla convenuta ai suoi funerali, eppure fa sempre un certo effetto sentir parlare di un’intera città (Lagos, Nigeria) paralizzata, nell’agosto di dieci anni fa, da un milione di persone scese in strada per dare l’ultimo saluto – in silenzio e coi pugni levati al cielo – a Fela Anikulapo Ransome Kuti. Il fatto è che in un paese funestato da una terribile dittatura militare Fela Kuti non fu solo un musicista, ma anche il leader politico e spirituale di un popolo oppresso: uno per cui la rivoluzione non fu una posa modaiola da sfruttare economicamente a proprio vantaggio, ma una vitale necessità da perseguire anche a costo della vita. La sua coraggiosa e perenne lucidità nel denunciare gli abusi del potere nei riguardi della povera gente inerme lo rese un mito per le genti africane tutte, ed ancora oggi il suo spirito combatte accanto a quello di Bob Marley. Rispetto al giamaicano, però, Fela fu rivoluzionario pure nei fatti, e quando ad esempio proclamò, dopo averlo recintato con barriere elettrificate, il suo quartier generale – la sua casa, quelle dei suoi musicisti ed il locale nel quale sempre si esibivano – Repubblica indipendente di Kalakuta (termine che in swahili significa “furfante”) i militari non la presero granché bene: entrati con la forza devastarono le case, pestarono a sangue gli uomini, violentarono le donne ed arrestarono il Nostro. Potrei continuare ancora per molto a raccontare episodi di tal genere, ma mi sembra di udire una voce spazientita farmi presente che questa dovrebbe essere una rubrica di musica e non di politica; è vero ma con Fela Kuti le due cose, come si sarà capito, sono davvero inscindibili. Non volendo, però, dare l’idea di apprezzarne la musica solamente per via dell’indubbia simpatia che nutro per l’uomo, è necessario che mi affretti a decantarne le doti artistiche. Per farlo mi aggrappo ad un gustoso aneddoto raccontato da Bootsy Collins, il leggendario bassista di James Brown. Nel dicembre del 1970 il “Padrino del soul” ed i suoi JB’s suonarono a Lagos e al termine del concerto si fiondarono all’Afro-Spot per assistere finalmente di persona ad una esibizione di Fela e compagni (il gruppo negli anni ebbe varie intestazioni: Nigeria 70, Africa 70, Afrika 70, Egypt 80). Quello che sentirono li sconvolse: “Facemmo un salto al club di Fela e ci trattarono da re. Eppure, per quanto mi riguarda, non avevo mai ascoltato una band così funky in tutta la mia vita. Restammo totalmente annientati da quell’esperienza; fu un viaggio che non cambierei con nient’altro al mondo”. So che stentate a crederlo, ma Fela Kuti col suo afro-beat se la gioca davvero alla pari con James Brown per il trono di “Re del funk”! I suoi brani, della durata media di una decina di minuti l’uno, sono mostruose orge ritmiche buone a far delirare i sensi e impazzire le giunture. Se, insomma, quel che vi ci vuole nella vita è ritmo, ritmo, ritmo e ancora ritmo Fela Anikulapo (“Colui che tiene la morte nella borsa”) Kuti è l’uomo che fa per voi.
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