4 MESI 3 SETTIMANE 2 GIORNI

di Ilaria Feole / coclea83@libero.it

500.000 è la stima del numero di donne morte in operazioni di aborti clandestini nel ventennio del regime di Ceausescu in Romania. L’aborto e ogni forma di contraccezione furono resi illegali nel 1966, e restarono tali fino alla caduta del dittatore nel 1989. Cristian Mungiu, vincitore della Palma d’oro a Cannes, classe 1968, era bambino in Romania, in una classe affollatissima a causa delle misure di incremento demografico coatto del regime, e ha scelto di raccontare, nella sua opera seconda, la storia di una delle donne che hanno dovuto scegliere l’aborto clandestino.I 4 mesi del titolo sono l’età del feto che Gabita deve espellere, rinchiusa in una stanza d’albergo, senza dividere il suo segreto con nessuno, se non con la migliore amica Otilia, vera protagonista del film (ambientato pochi anni prima della fine del regime). Le due sono studentesse universitarie, e da subito Mungiu ci introduce nel loro mondo fatto di piccole ma tormentose necessità materiali, di contrabbando di sigarette, saponi e pillole anticoncezionali nel dormitorio universitario in cui vivono. Gabita è impaurita, superficiale, inguaribilmente distratta e inaffidabile; in realtà è una ragazza come tante, alle prese con un dramma più grande di lei, di cui è l’amica ad accollarsi le maggiori incombenze. Otilia è risoluta, coraggiosa, lucida, assuefatta alle difficoltà della vita quotidiana sotto il regime, capace di muoversi con abilità tra le trappole che un atto clandestino come quello dell’aborto comporta. Il film si svolge in una manciata di ore, dal trasferimento delle ragazze nella camera d’albergo fino al compimento dell’operazione, il cui ultimo drammatico atto toccherà ancora una volta a Otilia. L’aborto viene effettuato dal personaggio più emblematico e memorabile del film, il signor Bebe; individuo che vive nelle pieghe del regime, e di esso è la sintomatica espressione. Gelido e professionale, regge il suo mestiere (esattamente come fa la dittatura) sulla paura, sull’implacabile necessità di agire in fretta, e di nascosto. Fretta e segretezza sono le due forze angoscianti che governano i gesti di Otilia, costretta a subire violenza da Bebe per pagare l’operazione, e incastrata dal fidanzato in una cena di famiglia cui non vorrebbe partecipare, sempre rivolta col pensiero all’amica rinchiusa nella stanza, in attesa che l’interruzione di gravidanza si compia. Mungiu non usa commento musicale, non c’è enfasi né giudizio nella sua regia: il film è fatto di lunghi, impietosi piani sequenza in cui lo spettatore assiste impotente, irrimediabilmente coinvolto, all’angoscia delle protagoniste. Le quali sono intrappolate nell’inquadratura senza via d’uscita, perennemente preoccupate di ciò che sta accadendo al di fuori di quel campo, di quella porzione inquadrata. È infatti fuori campo che Bebe abusa delle due donne; è fuori campo quel telefono che squilla e che Otilia non può raggiungere, per sapere se l’amica sta bene. C’è sempre qualcosa di terribile, di potenzialmente drammatico, che preme ai lati dell’inquadratura, provocando lo stato di perenne allerta delle due protagoniste, e conseguentemente dello spettatore. Mungiu riesce così nell’operazione straordinaria di restituire in forma filmica la vita sotto un regime: la sensazione di essere in trappola, e costantemente esposti a un pericolo che potrebbe arrivare da ogni luogo. Nella vicenda di due ragazze, l’intera vita di un Paese. Il risultato è un film di una potenza sconvolgente, la cui visione è dolorosamente necessaria.

(4 mesi 3 settimane 2 giorni è in programmazione al Super Cinema di Castiglione il 14 e 15 novembre)


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