UNA SPECIE DI ALASKA

di Leonardo Tonini

Splendida messa in scena di un atto unico di Harold Pinter sabato 9 aprile a Carpendolo. Evidente segno del continuo mutare dei tempi, la periferia da lezioni al centro, ipotizzando Castiglione come fulcro di un aggregato metropolitano. La città latente esiste, ma sembra che a qualcuno non interessi, Medole e Carpendolo ci danno le botte e noi fingiamo di non sentirle. Il fatto rimane, un moderno teatro di prosa ricavato da un vecchio ospizio (palazzo Laffranchi), la platea stracolma e, quel che più conta, un’opera non facile di un autore difficile che per la sua resa ha incantato tutti. Una specie di Alaska, atto unico, poco più di un’ora. Una donna si sveglia dal coma dopo 29 anni – attualità involontaria. Come spiegare che il mondo ha fatto a meno di lei? Come rivelare che non ha più 16 anni?
Ci provano, e male, un dottore stranito e una inefficace sorellina dell’ammalata risuscitata. Tutto voluto, bravi gli interpreti, ma è nella mente di Pinter (e forse del regista), fare in modo che quella creatura uscita dal coma (una specie di Alaska) e ancora altalenante tra la coscienza e il sogno, appaia come unica cosa vera, solida, aggrappata a ciò che resta del suo Sé. Gli altri (il dottore e la sorellina invecchiata) hanno la coscienza sporca, sporca di vita, hanno vissuto loro, mica se ne sono stati a dormire tutto quel tempo. La tragedia è dei due, ambiguamente amanti, che si sono fatti carico di tenere in vita una larva per 29 anni e si sono rovinati con le loro mani. Ora la larva è di nuovo al mondo, va e viene, e la ricompensa è una vecchia bambina di prima della guerra, inutile, che nemmeno ripaga del grande sforzo. Ma c’è di peggio. La bambina capisce e non capisce, ritorna nel sogno, si rifiuta di accettare la verità, vuole i suoi amichetti, perché non mi avete svegliata? Eppure, intuisce abbastanza, il mondo decostruito, gli affetti defunti, le ambiguità degli adulti, la mancanza di purezza. Ma lei è viva, è una vecchia bambina, ma non è così vecchia e non è nemmeno tanto grassa, si alza… non è lei lo spettro, la larva, lei è vera come il suo corpo claudicante, torto – gli altri sono sullo sfondo, senza dimensioni, restano impagliati nel loro imbarazzo. La luce si abbassa, si fa blu, si sente un rubinetto che perde (relitto sonoro di 29 anni prima) entra in scena la danza, cioè la bellezza che ha sposato la leggerezza, prima della malattia, prima della guerra, e noi rimaniamo attoniti. Per la regia di Nino Campisi, il tetro del Navile di Bologna, con la emozionante recitazione di Mila Moretti e la maestria di Irene Stracciati.


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