GIARDINO E PAPILLON

di Paolo Capelletti

Il programma della rassegna teatrale CARPE.DIEMTEATRO, dedicata agli autori contemporanei in corso da alcune settimane nello Spazio Scenico di Palazzo Deodato Laffranchi a Carpenedolo, ha previsto, il 18 marzo scorso, la messa in scena del testo La Signorina Papillon di Stefano Benni. Nato a Bologna il 27 gennaio 1947, una ormai lunga carriera, non solo letteraria, alle spalle, Benni stupisce chi si trovi di fronte alle sue opere per il carattere multiforme ed eclettico della sua satira, sempre pungente e brillante ma permeata dalla creatività propria di chi ha una conoscenza letteraria varia e profonda e la capacità di farne tesoro nella formazione del proprio, o meglio, in questo caso, dei propri stili. Lo spettacolo, prodotto dalla compagnia del Teatro Perché per la regia di Angela Baviera, si snoda in un intreccio piuttosto misterioso: nella periferia di una Parigi di fine Ottocento c’è un piccolo giardino ornato da un’innumerevole varietà di rose e costellato di colorate farfalle e nella contemplazione di questo scenario vive, senza mai allontanarsene, la protagonista, Rose Papillon (Angela Sturniolo). L’unico interesse della fanciulla è costituito dalla sua collezione di farfalle e dalla meticolosa redazione del suo diario, sul quale svolge le sue riflessioni, tra metafore floreali e conclusioni filosofiche sulla propria vita quasi eremitica. Ad interrompere i sogni ad occhi aperti di Rose, si avvicendano sulla scena tre personaggi, che vengono a farle visita, tentando di introdursi nel mondo tutto suo che è il giardino, se non, addirittura, di costringerla fuori da esso: il sergente Armand (Maurizio Tonelli), che fa segretamente parte di una loggia massonica e non nasconde di essere uno spasimante della solitaria protagonista, il poeta Constantin Millet (Massimiliano D’Aloisio), rivale di Armand nel tentativo di conquistare le attenzioni di lei e l’eccentrica cugina di città (Rosaura di Giuseppe), il cui unico scopo è di essere celebrata nei circoli e nei salotti più alla moda di Parigi. La scena risulta, nel darsi allo spettatore, divertente e divertita, secondo il carattere delle opere benniane, e presenta sul palco un personaggio senza attore, un corpo immobile, ma motore della vicenda, uno s-fondo che non resta fondo ma è, anzi, fondamentale perché si distingua la “forma” del testo: il giardino all’interno del quale, con il quale la rappresentazione avviene è, a tutti gli effetti e per volere dell’autore, il protagonista della rappresentazione stessa. Si presenta, allora, un’altra questione: quando va sul palco, cos’altro diventa lo sfondo dal palco stesso? Non è l’intera scenografia a comporlo, meglio, non è lo sfondo a farsi scenografia, palco, teatro? Il protagonista è il teatro? Tra giochi di parole che provocano strani fraintendimenti e colpi di scena, una critica caricaturale dei paradossi borghesi più evidenti e un finale dal velato, ma non troppo, intento moralizzante, apprezzabile la recitazione dei quattro attori e l’opera della regista nel tratteggiare la caratterizzazione delle loro figure e nel fare della leggerezza la qualità che lascia allo spettatore le sensazioni di una bella serata di teatro.


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