CINEMA CIVETTA
LEONI PER AGNELLI
di Robert Redford
2007
Robert Redford torna alla regia dopo 7 anni, e lo fa con un’urgenza di dire (più che di mostrare) cose importanti. Il titolo proviene da una frase attribuita a un ufficiale tedesco durante la prima guerra mondiale: i coraggiosi soldati inglesi mandati a combattere dai capi di stato gli sembrarono “leoni comandati da agnelli”. Di leoni nel film di Redford ce ne sono, forse, solo due: i promettenti studenti universitari che, spronati all’attivismo da un professore, imprevedibilmente scelgono di arruolarsi e si ritrovano a combattere in Afghanistan. Sono loro il fulcro della narrazione, che si dipana in tempo reale (solo 88 minuti) seguendo tre azioni contemporaneamente: l’intervista di una reporter (Meryl Streep) a un agguerrito senatore repubblicano (Tom Cruise) in merito alla nuova offensiva statunitense in Afghanistan; il dialogo di un professore di scienze politiche (Redford) con uno studente che non ha più voglia di impegnarsi; e, appunto, i due giovani soldati, Arian ed Ernest, bloccati sulla cima di un monte afgano e circondati dai nemici. I due comparti “parlati” sono vere e proprie sfide di dialettica, soprattutto quella, ad armi (quasi) pari, tra la reporter Janine e il senatore Irving; un faccia a faccia serrato ed elettrico. Irving, agnello per antonomasia, sicuro di sé e determinato ai limiti del fanatismo, è convinto che gli USA debbano fare “tutto ciò che serve” per annientare la minaccia del terrorismo; Janine, leone diventato agnello senza essersene accorta, non esita a rinfacciargli tutti gli errori dell’amministrazione Bush e l’assurdità della guerra. Il professor Malley, invece, trova pane per i suoi denti nello svogliato ma brillante studente Todd, in cui cerca di risvegliare una coscienza politica e civile. Nessuno uscirà realmente vincitore; nessuno troverà le risposte “giuste”, ma nel frattempo troppe domande sono state poste per essere ignorate.
Redford riesce nell’impresa di rendere coinvolgente, a tratti magnetico, un film che si svolge per la quasi totalità (fatta eccezione per il comparto afgano) in due stanze chiuse, con i protagonisti seduti e immobili sulle proprie sedie. Un’immobilità fisica che rappresenta la staticità dei personaggi, congelati in un sistema che credono di non poter cambiare (o che vogliono mantenere così com’è) e incapaci o impossibilitati ad impegnarsi per una causa in cui credono. Janine scopre, in una tardiva epifania, di essere da anni nient’altro che uno strumento di propaganda per i potenti; Todd è troppo sfiduciato nei confronti della politica per mettersi in gioco; Malley si rifugia nell’insegnamento e perfino Arian ed Ernest, partiti per cambiare le cose sul campo di battaglia, restano per tutta la durata del film bloccati nella neve, e si alzano in piedi solo nel drammatico finale. È di questo che parla Redford, forte di una regia solida e di una sceneggiatura intelligente: della necessità, e della difficoltà, di alzarsi da quella sedia (non a caso in inglese sostenere, difendere una causa si dice to stand up, che letteralmente è anche alzarsi in piedi). Per lo spettatore, abbandonare la poltrona a fine proiezione non può essere più denso di significato.
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