IRAQ: IL RITORNO DELLE TRUPPE

di Claudio Morselli

IL POPOLO DELLA PACE AVEVA RAGIONE
A quasi quattro anni da quel terribile 11 settembre e a due anni da quella che, molto pomposamente e avventatamente, era stata definita la “fine” della guerra in Iraq, la verità sulla tragedia irachena e sul comportamento dell’amministrazione americana nel contesto internazionale comincia a farsi strada. Di fronte all’evidenza dei fatti, esaurita la fase iniziale della reazione emotiva e divenute ormai improponibili le accuse generalizzate di antiamericanismo, tra coloro che approvarono l’invasione dell’Iraq prende corpo un certo disorientamento, emergono dubbi e perplessità, si esprimono le prime, esplicite, autocritiche. Sul Corriere della Sera di domenica 15 maggio 2005 Sergio Romano, commentando il nuovo libro di Noam Chomsky Egemonia o sopravvivenza. I rischi del dominio globale americano, esprime una serie di considerazioni che suonano come una clamorosa conferma delle ragioni del no alla guerra in Iraq e tracciano un duro giudizio nei confronti dell’amministrazione Bush, che è sorprendentemente non molto dissimile da quelli espressi dalla sinistra e dal movimento no global. “E’ certamente vero”, sostiene Sergio Romano, “che l’attacco alle Torri gemelle, l’11 settembre, fornì a una parte della classe dirigente americana l’occasione per dare alla società internazionale un segno del modo in cui gli Stati Uniti avrebbero da allora manifestato la propria potenza. E’ vero che l’amministrazione approfittò del terrorismo per adottare leggi illiberali. E’ vero che la presidenza Bush era decisa a entrare in guerra indipendentemente dalle decisioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu e dalle trattative con il regime di Saddam. Ed è vero, purtroppo, che il conflitto, anziché dare un duro colpo al terrorismo, gli ha regalato un campo di battaglia in cui legittimare se stesso e reclutare seguaci. E credo che Chomsky abbia ragione quando sostiene che l’instaurazione di regimi democratici in Iraq e in tutto il Medio Oriente è un obiettivo adottato in un secondo tempo, quando “tutti gli altri pretesti per l’invasione dell’Iraq erano miseramente crollati”. Proprio così. Questo è quanto afferma Sergio Romano, storico non certamente di idee di sinistra, editorialista del Corriere della Sera e di Panorama, ex rappresentante della Nato ed ex ambasciatore a Mosca. Il ritiro delle truppe italiane non è più argomento tabù, anche il governo italiano ne parla ormai da mesi, sia pure con molti “se” e molti “ma” e in modo spesso contraddittorio. In Iraq, del resto, c’è stato uno stillicidio di rientri a casa di truppe straniere, com’è successo con Spagna, Norvegia, Estonia, Nuova Zelanda, Repubblica Dominicana, Honduras, Nicaragua, Filippine, Portogallo, e a cui seguiranno presto altri paesi, come Polonia, Danimarca, Olanda, Romania, Ucraina e Ungheria. Aveva dunque ragione il popolo della pace, che si è opposto a questa guerra e che ha sostenuto sin dall’inizio la richiesta del ritiro delle truppe straniere come condizione per la ricerca di percorsi di pace e di condizioni di civile convivenza. E’ certo vero che la situazione in Iraq è sempre più drammatica, con il terrorismo che imperversa, sempre più spavaldo, con tutto il suo carico di morte e distruzione. Ma il terrorismo in Iraq, non dimentichiamolo, è figlio di questa guerra, da cui trae forza, sostentamento e vitalità, e difficilmente potrà essere sconfitto se non se ne andranno dall’Iraq le truppe americane, responsabili della guerra, e tutte le truppe degli eserciti alleati. Non sarà comunque certamente facile, perché la guerra ha prodotto una situazione estremamente complicata e fortemente compromessa, ma non mi pare ci siano alternative. Come non pensare a quanto sciocche e puerili furono le polemiche, che si sono protratte fino a poco tempo fa, contro coloro che chiedevano il ritiro delle truppe e che venivano accusati di “irresponsabilità”, di “complicità con il terrorismo” e di essere “nemici dell’occidente”! Non sarebbe male se si aprisse un confronto serio e onesto per ripensare le ragioni della guerra, analizzando soprattutto il rapporto tra fine e mezzi, per scoprire, probabilmente, che l’uno non giustifica gli altri, e che la pace non si può ottenere con la guerra.


1 Commento »

  1. Intanto la spinta alla democratizzazione non è decisamente una novità dalle parti di Washington, è possibile discutere sulla fattibilità di tale progetto, sui modi ma non affermare che questa sia stata usata in un secondo tempo dopo l’entrata in guerra contro l’Iraq, perchè ci si dimentica dell’Afghanistan? Perchè ricordarsi dell’Afghanistan vorrebbe dire ammettere che il principio della democratizzazione è almeno predecedente alla campagna in Afghanistan.

    Secondo, il progetto non è destinato al solo Medio Oriente o al mondo arabo ma a tutto il mondo musulmano (l’immane utilizzo di soft power dopo lo tsunami ne è una prova) in primis e a tutta la regione tra il Caucaso e l’Asia centrale.

    E’ una democratizzazione che può apparire strumentale soprattutto per il fatto che è compatibile con gli interessi americani.

    Se riuscissimo ad essere coerenti una buona volta a proposito del feticcio chiamato Onu, aborriamo i regimi illiberali ma dimentichiamo che questi sono ben rappresentati sia nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sia nei vari organi della stessa organizzazione.
    L’agenzia Onu per i diritti umani è affidata alle amorevoli cure di Cina, Libia e Arabia Saudita. Possibile che questi possano richiamare qualche paese per le sue violazioni?

    I ritiri di Polonia, Ungheria, Ucraina sono da mettere in relazione al fatto di aver dimostrato all’alleato americano la loro buona fede di neoalleati più affidabili di altri europei di lungo corso.

    Le stesse proposte riguardanti l’invio dei caschi blu è contraddittoria in quanto mi sembra estremamente difficile che questi possano essere accolti come “non stranieri” e in secondo luogo dalla seconda guerra del Golfo in poi (la prima fu quella tra Iran e Iraq) l’immagine dell’Onu è stata assimilata alle sanzioni grazie alla paziente opera del regime.

    Io stesso condivido l’idea per cui questa guerra è stata negativa sin dalle origini, e non per considerazioni etico-morali di cui molti si cibano, lo insegnava la storia: dove non c’è un’esperienza di democrazia o comunque di convivenza civile (Germania di Weimar, Europa orientale) la dissoluzione di un forte potere centrale porta alla disgregazione del paese (che non è mai stato una nazione) come è successo o sta succedendo ai confini russi e questo ha portato ad una destabilizzazione dell’area con una panoplia di attori non solo regionali che competono per le stesse spoglie.

    Questo però non toglie che la richiesta di ritiro delle truppe a guerra avvenuta sia irresponsabile, è necessario sia dal punto di vista regionale (ci si dimentica, tra le altre cose, che la possibile saldatura non necessariamente politica tra sciiti iracheni e iraniani porterebbe una minaccia alla regione di notevole rilevanza sia dal punto di vista ideologico che geopolitico).
    “Il terrorismo in Iraq, non dimentichiamolo, è figlio di questa guerra, da cui trae forza, sostentamento e vitalità, e difficilmente potrà essere sconfitto se non se ne andranno dall’Iraq le truppe americane, responsabili della guerra, e tutte le truppe degli eserciti alleati. Non sarà comunque certamente facile, perché la guerra ha prodotto una situazione estremamente complicata e fortemente compromessa, ma non mi pare ci siano alternative.”
    La soluzione proposta è, al giugno 2005, il ritiro di tutte le truppe straniere…e poi? Chi assume il controllo del paese? La polizia locale? L’esercito? Considerati al 20% della loro combat-readiness. Non è qui questione di lanciare strali di “anti-occidentalismo", nè di “complicità con alcunchè", si tratta di evitare di creare un vacuum politico, geopolitico che si ripercuoterebbe sulla regione e non solo.
    Il nesso tra guerra in Iraq e leggi illiberali non è comunque applicabile ai soli Stati Uniti, si veda il dibattito in Inghilterra e Olanda (tra le altre).

    Comment scritto da Moreno — 6/10/2005 @ 6:08 am

feed RSS per i commenti a questo articolo.

Lascia un commento


Attenzione: i commenti compariranno sul sito previa approvazione del moderatore

Righe e paragrafi vanno a capo automaticamente, l’indirizzo e-mail non viene mostrato, HTML è permesso: <a href="" title="" rel=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <code> <em> <i> <strike> <strong>