MONZAMBANO L’ASILO NEGATO

di Marzia Sandri

Tanja è in trepida attesa dell’arrivo del pulmino giallo che, come tutte le mattine, la porterà, insieme ai suoi amichetti, fino alla scuola materna della vicina frazione di Castellaro. Il pulmino arriva, puntuale come sempre, le porte si aprono e lasciano intravedere i visini allegri dei suoi compagni che con voci scherzose la chiamano. Tanja fa per salire, ma l’autista la blocca, fa segno di no verso di lei e dice qualcosa che Tanja non comprende rivolgendosi alla sua mamma che con occhi tristi la tira improvvisamente indietro facendola scendere dal predellino. Le porte si richiudono e il pulmino riparte portandosi via i volti allegri dei suoi compagni e le voci scherzose che ripetono il suo nome. Tanja non capisce cosa sta succedendo, sa solo che per quel giorno non andrà a scuola e non giocherà con i suoi amichetti e con le maestre sotto gli alberi del cortile. Non capisce perché, ma sente che qualcosa le è stato negato e i suoi occhioni scuri di piccola bangladese di soli cinque anni, si riempiono di grossi lacrimoni che cominciano a scenderle lungo il viso. Motivo dello sgradevole gesto (frutto di un comando venuto dalle alte sfere dell’amministrazione) il mancato pagamento di un bollettino da oltre 300 euro e relativo alla retta per il trasporto scolastico, che i genitori di Tanja, entrambi disoccupati e sull’orlo di uno sfratto, non sono in grado di saldare. Inutili i tentativi della madre di Tanja di trovare comprensione nell’assessore ai Servizi Sociali – e neo vicesindaco – Angiolina Bompieri, che rimane irremovibile: la tariffa va pagata. Abdul Malique, il padre di Tanja, infatti, comproprietario di un appartamento e della licenza per un call Center per extracomunitari entrambi situati nel comune mantovano, risulterebbe possidente e, quindi, in grado di sostenere interamente i costi per l’asilo della bambina. Sennonché la realtà è alquanto diversa dato che l’appartamento, occupato dal figlio venticinquenne con tanto di famiglia a carico e titolare del mutuo che pesa sull’immobile, è solo nominalmente di Abdul, mentre il call center dà appena da vivere alla figlia diciannovenne, anch’essa sposata e in difficoltà per la necessità di raccogliere fondi con cui portare in Italia il marito rimasto in Bangladesh. “Quando Abdul fece richiesta di esonero – spiega il vicesindaco – era il 2004 e la documentazione presentata faceva, dunque, riferimento al 2003, anno in cui non solo lui lavorava, ma la famiglia poteva anche contare sullo stipendio del figlio maggiore che all’epoca viveva in casa con loro”. Il fatto che dal 2004 il padre di Tanja, perso il lavoro, sia rimasto disoccupato, e che nel frattempo il figlio sia andato a vivere con la rispettiva famiglia, sembra, dunque, non avere peso per una burocrazia rigida e un’ancor più inflessibile interpretazione della stessa da parte di amministratori fin troppo “scrupolosi”. Ma burocrazia a parte, non era proprio possibile risparmiare alla piccola l’umiliazione e il dolore di essere lasciata piangente sul ciglio della strada? “La bambina non si sarebbe dovuta trovare alla fermata del pulmino” ribadisce con ferma decisione l’assessore Bompieri, evidentemente preoccupata più per la sua immagine di angelo dei più deboli (ma solo quelli che ritiene lei, evidentemente) che delle conseguenze che l’episodio potrebbe avere sulla bambina. “Con la madre i patti erano stati chiari, noi avremmo esonerato Tanja dal pagamento del contributo per la mensa, mentre per il trasporto avrebbero provveduto da soli. La mamma, invece, dato che in famiglia nessuno ha l’auto, ha voluto fare di testa sua e si è presentata comunque alla fermata pretendendo di far salire la bambina pur non avendone diritto. Solo per questo è stata lasciata a piedi”. Non un caso di cattivo uso dell’autorità e di cieco adempimento delle leggi come a prima vista poteva sembrare, dunque, ma, al contrario, una vera e propria condanna esemplare: la mamma fa la gnorri e, furbescamente, finge di non capire? E noi puniamo la bambina. Giustizia è fatta.


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