LAMERICA

di Dą(vide) Bardini

E’ il 1991, in Albania si respira un terribile fetore di povertà e l’economia è a pezzi. Fiore, uno speculatore italiano, decide assieme al suo aiutante Gino, di truffare il ministero dell’economia italiano, impiantando una fittizia impresa in territorio albanese e godendo, in questo modo, di enormi finanziamenti. Trovano un mediatore albanese che intrattenga i contatti tra loro e l’autorità ministeriale del luogo e, accompagnati dallo stesso, scovano in una sorta di dormitorio fatiscente il prestanome di cui hanno bisogno. E’ un anziano magro e malconcio che non dice una parola e che sembra abbia perso la memoria durante la lunga permanenza in carcere; naturalmente niente è meglio di un vecchio muto e smemorato per firmare carte senza farsi domande! Fiore (Michele Placido) torna in Italia per terminare le pratiche con lo Stato e mentre è assente, il Albania, il vecchio se ne va dal dormitorio in cui si trova e Gino (Enrico Lo Verso) parte alla sua ricerca, consapevole della necessità di ritrovarlo in vista delle loro frodi. Inizierà un Odissea che vedrà i due uomini sperduti nel paese allo sfascio ed infine braccati anche dalla polizia, che già ha scoperto la loro truffa. Durante il viaggio Gino scopre che il vecchio è in realtà Michele, un siculo venuto in Albania ai tempi del fascismo e incarcerato con l’avvento del regime comunista. Persa la memoria, Michele vive convinto di essere un ventenne e di star viaggiando per raggiungere la sua isola natale. La sua figura interpretata magnificamente da Carmelo Di Mazzarelli (prima volta sullo schermo) rappresenta tutta l’architettura intellettuale del film e, iperbolicamente, la situazione albanese; prima fascista, poi comunista, poi semplicemene e meramente la peggiore delle dittature, quella della povertà. Il film di Gianni Amelio inizia con alcune sequenze tratte dai telegiornali fascisti che inauguravano (con il sangue, il sudore, l’orgoglio, la potenza… E bla bla bla) l’avvenuta conquista da parte del Duce dello stato sovrano dell’Albania. Un bello scambio espressivo di sequenze fa passare dai titoli di testa, dove viene urlato ossessivamente dalla folla il nome del Duce, al qui ed ora del tempo diegetico dove, al porto di Durazzo (frontiera ideale con l’Italia) la “stessa” folla grida: “Italia, Italia, tu sei il mondo!”. L’Albania conquistata mezzo secolo prima vuole la sua parte d’Italia e per tutto il film le parole “Italia” ed “Italiano” sono un vero e proprio lascia passare per tutte le porte. Interessante l’operazione che compie Amelio inserendo puntigliosamente sulla pellicola la Tv Italiana; un palinsesto quello dei prima anni novanta (perché la situazione oggi è cambiata?) che mirava a far vedere la sua magnificenza e richezza mettendo in ombra qualunque tipo di realtà urbana e di povertà. Enrico Lo Verso è molto bravo ad interpretare un ruolo di formazione, di crescita, che lo vedrà cominciare come Gino, spietato truffatore napoletano e lo vedrà finire diversamente; perso anche il suo nome, simbolicamente e giuridicamente sequestrato insieme al suo passaporto, rimane solo la sua persona, nuda, che lotta per la prima volta per qualcosa di davvero importante: la sopravvivenza. Il sogno dei profughi, dei clandestini, che s’imbarcano sicuri, almeno speranzosi, di poter fare delle loro figlie ballerine di programmi televisivi, showman di successo o, semplicemente, di sposarsi ed avere figli… Il sogno che si spegne talvolta a molti chilometri dalle coste italiane; il sogno che “l’uomo bianco” non potrà mai capire perché l’esperienza non si può carpire fino in fondo tramite la mera narrazione, ma solo con l’esperienza stessa. Il sogno che, non dobbiamo dimenticarlo, secondo alcune camice verdi si dovrebbe spegnere a colpi di cannone…” Italia, Italia, tu sei il mondo” (?).


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