LE ULTIME TRACCE
DI LUCIO BATTISTI (2)

di Giovanni Caiola

“Non penso quindi tu sei”. La prima volta che ho sentito queste parole – il verso iniziale della canzone Don Giovanni – non ero che un brufoloso ed ingenuo neo-liceale con nessuna idea di chi fosse Cartesio e, per di più, con una conoscenza dell’enciclopedia pop limitata alla lettera B (con la A saltata a piè pari!) di Barrett, Battisti appunto e Beatles. Ma il Battisti che conoscevo non era certo quello di Don Giovanni, quello che declamava versi per me incomprensibili su musiche oltretutto aliene al mio modo di sentire! Così, in modo anche traumatico, ho fatto la conoscenza di Pasquale Panella, l’autore dei testi degli ultimi 5 album della carriera di Lucio. Battisti conosce Panella nel 1983, in virtù della decisiva collaborazione di quest’ultimo alle liriche del disco Oh! Era Ora di Adriano Pappalardo (grande amico di Lucio e qui ancora lontano da mediatiche isole deserte). Rimasto favorevolmente impressionato da testi in bilico fra surrealismo e presa per i fondelli, il Nostro lo contatta per una collaborazione e i due non si lasceranno più. Il verso che ho adoperato come incipit di quest’articolo è esemplare del modo di scrivere di Panella, con un solo tocco scompagina il cartesiano «cogito ergo sum» attraverso un’ironia tagliente in cui s’affaccia un sarcastico spiritello avanguardista. E il resto del disco non è certamente da meno: fra un uomo che «andò saldato» ed un altro che vive «all’estro» è un florilegio continuo di invenzioni liriche e sonore. Inventivo è anche l’apporto musicale di Lucio, che riprende le atmosfere leggermente elettroniche del precedente E Già facendole convivere con più rassicuranti melodie tipiche della canzone italiana (ad esser sincero non ho mai capito bene cosa significhi l’espressione “canzone italiana”, ma mi pare che in questo caso renda bene l’idea). La produzione di Greg Walsh – che aveva preso il posto di Geoff Westley, cacciato per via di una sua collaborazione con l’odiatissimo, da Battisti, Claudio Baglioni – aggiunge poi una patina di stilosa armonia, quantomeno degna del bellissimo The Nightfly di Donald Fagen. Uscito nell’aprile 1986 il disco vende tanto nonostante le innegabili difficoltà di fruizione, ma come già accennavo a proposito di E Già il nome Battisti stampato sul davanti di copertina garantisce ancora vendite che in Italia pochissimi altri, all’epoca, possono vantare. E da Don Giovanni Lucio prende anche a disegnare in proprio le copertine dei suoi dischi: enigmatiche quanto il contenuto. In questo caso si tratta di una lettera A in carattere corsivo che funge da attaccapanni (figura che ritorna nel testo della canzone che intitola il disco) per una sciarpa. Le vendite del disco, in ogni caso, sono meritatissime in quanto Don Giovanni è uno dei dischi in assoluto migliori di Battisti, migliore anche di tanti tantissimi degli album scritti in collaborazione con Mogol. Poche volte Lucio ha architettato melodie così cristalline ed insieme complicate, scansioni robotiche che sanno farsi umane con una naturalezza invidiabile: grandissimo disco.


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