LA CULTURA DEGLI ESPERTI AMBIENTALI
Nel merito dell’articolo apparso sullo scorso numero della Civetta (‘La politica degli esperti ambientali’), nel quale Emilio Crosato esprime diverse considerazioni sul valore e sulla pratica delle valutazioni paesistiche ad opera degli esperti ambientali comunali e sulla legge che le prevede (la Legge Regionale n. 18/97), vorrei con questo mio contributo avanzare alcune proposte per limitare le distorsioni che la normativa vigente consentirebbe. Premesso che la qualità di un intervento edilizio è difficilmente garantibile con una qualsivoglia legge e che altrettanto raramente disposizioni burocratiche migliorano l’impatto paesistico di tale intervento è senz’altro vero, però, che regole certe e chiare possono quanto meno circoscrivere il margine di ‘sensibilità’ individuale di chi è chiamato ad esprimere un giudizio di merito su una tematica alquanto delicata e incerta come la compatibilità paesistica di una trasformazione territoriale (piccola o grande che sia). Dubito che la ‘commissione per il paesaggio’, richiamata da Crosato
e prevista dalla normativa regionale, possa di per sé evitare, pur avendo valenza sovracomunale, che non si verifichino casi di ‘compiacimento delle amministrazioni’ di turno o, ancora peggio, di sfruttamento delle autorizzazioni paesistiche per interessi personali. A mio avviso, solo un’analisi approfondita del territorio può risvegliare e motivare la ‘sensibilità’ delle committenze, dei progettisti e degli apparati di controllo locali. La ‘sensibilità estetica’ forse non si insegna a scuola, ma un’iniezione di informazioni dettagliate a carattere storico, geologico, urbanistico e architettonico non farebbe certo male alla montagna di carta legislativa che affligge quotidianamente chi opera nel settore edilizio. Lo stesso Piano Territoriale Paesistico Regionale, pur nella sua vaghezza, prescrive d’integrare il Piano Regolatore Generale (ora Piano per il Governo del territorio) con uno studio paesistico, definito per comodità sintetica ‘Piano Paesistico comunale’. Solo facoltativamente (così recita l’articolo 24, comma 2, del PTPR), il comune può, inoltre, suddividere il proprio territorio in 5 classi di sensibilità dei siti, ai fini dell’Esame Paesistico dei Progetti. E’ evidente come, in presenza di un documento che ‘certifichi’ le peculiarità di un quartiere o di un brano di campagna e che conseguentemente fornisca indicazioni se non ‘regole’ d’intervento, anche il famigerato esperto ambientale non possa che adeguare la propria ‘sensibilità’ a quanto precedenemente legiferato. Sarebbe forse più difficile legittimare le ‘trasformazioni selavagge’ citate da Crosato o favorire certi interventi ad altri.
Anche l’istituzione di mostre e dibattiti pubblici, peraltro anch’essi previsti dalla normativa vigente, oltre a favorire l’instaurarsi di una coscienza ambientale locale potrebbe, in un certo senso, deresponsabilizzare la figura dell’esperto ambientale e rendere più condivise e trasparenti le sue valutazioni.
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