ACQUA PASSATA
Bella prova di democrazia, le primarie. Quattro milioni di votanti lungo la penisola, novecento nella nostra Castiglione. Una partecipazione diffusa, un sotterraneo desiderio di esserci che cova, a quanto pare, nelle città come nei centri minori, al nord come al sud. Insomma un successo, riconosciuto anche dalle forze di centrodestra. Non esente, però, da alcune critiche.La competizione elettorale è stata condotta su base personale, senza tenere conto di programmi. Anche perché di programmi nemmeno l’ombra. Una mancanza forse provvidenziale. C’è da chiedersi infatti quale tipo di partecipazione chiedano gli italiani. Se è vero che quattro milioni di votanti per una competizione riservata all’Unione fanno riflettere, è anche vero che la formula americana e il testa a testa fra personalità più o meno simpatiche rende il tutto decisamente facile, televisivo e leggero. Niente discriminanti programmatiche, piattaforme comuni o famigerati paletti da rispettare: solo un bel mazzo di volti noti dal quale pescare il proprio leader. C’è il rischio di soprassedere, davanti a un risultato così positivo, al carattere di fondo della società italiana, un po’ qualunquista e distante dalle manovre parlamentari. Sembra, in sostanza, che gli italiani vogliano contare qualcosa, ma questo non significa che sia cambiato il modo di fare e di intendere la politica. Il risultato delle consultazioni di ottobre resta comunque un segnale importante. Un segnale che va ascoltato anche al di là del voto. Meglio infatti non accontentarsi di una partecipazione “facile”, adatta a un paese che da dieci anni snobba regolarmente uno strumento di democrazia diretta come i referendum. Ma se davvero esiste una domanda di spazio vitale da parte della società civile, questa va coltivata. E’ un teorema già sentito e troppo spesso dimenticato. Eppure la partecipazione può tornare ad essere una pratica costante, certamente faticosa, ma indispensabile per la costruzione di una società aperta e più vicina alla parola “democrazia” di quanto non lo sia mai stata. Non è ingenuo pensare che i programmi stessi, se la politica fosse davvero un problema comune, avrebbero un volto diverso. Perché la partecipazione nelle società democratiche è un bene primario, come l’acqua lo è per la vita. E non può esaurirsi nella pratica di un voto, nella delega al buon governo concessa alla coalizione vittoriosa. Ben vengano allora i comitati, le petizioni e l’esercizio del diritto di critica. Ben venga il tentativo di fare pressione dal basso, qualunque sia il colore del governo o della giunta in questione. Onde evitare che anche l’esempio delle primarie, il segnale di un sentito bisogno di esserci, venga messo da parte a campagna elettorale conclusa. Come fosse acqua passata.
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