CHE FARE?
La Russia è caratterizzata da un’architettura istituzionale molto accentrata che, da un lato, sacrifica elementi di democraticità; dall’altro, risulta indispensabile per la guida efficace di un paese di tali dimensioni. Questo è confermato dalla Storia, si pensi agli Zar e, in tempi recenti, ai vari dirigenti comunisti, fino all’era Putin. La gerarchia zarista era consolidata su basi dinastiche, per i leader che hanno guidato la Russia dopo il 1917 la situazione era più complessa, essi agivano, infatti, all’interno di una “curia”, nella quale era necessario assicurarsi i posti chiave per poter guidare l’apparato burocratico, presero forma quei fenomeni di “mafia istituzionale” ricorrenti nella politica russa, basti pensare al cosiddetto “clan di Dnepropetrovsk” di Brenev, alla “famiglia” di Eltscin e all’attuale “clan di Pietroburgo” che fa capo a Putin. La politica di rafforzamento delle prerogative presidenziali si muove tramite tre direttive. La prima è la lotta contro gli oligarchi, chi accetta il modello presidenziale viene cooptato, coloro che dissentono sono allontanati dal potere politico o economico, con metodi che suscitano preoccupazioni in Occidente (si pensi ai richiami fatti dal presidente Bush su questo tema che non poco hanno irritato Putin). La seconda direttiva, strettamente connessa alla prima, è quella dei polpredy, inviati presidenziali nelle varie province russe, molti oligarchi infatti rivestivano ruoli governativi in province sperdute e spopolate ma ricche di materie prime (petrolio, oro, diamanti) con il doppio vantaggio di arricchirsi e di ottenere l’immunità prevista per chi ricopre tali incarichi. I polpredy, facenti capo al Presidente, hanno ridotto non poco le prerogative e i privilegi degli oligarchi-governatori. La terza prerogativa della politica di Putin è il rafforzamento delle attribuzioni e dei poteri dell Fsb (i servizi di sicurezza), che hanno ormai recuperato gran parte delle funzioni svolte in epoca sovietica dal Kgb. La stessa determinazione è riscontrabile anche in politica estera che ha vissuto di luci (l’ammissione a pieno titolo al G8, l’eliminazione dei dazi anti-dumping, l’avvicinamento al Wto) e ombre (la Cecenia rimane un problema, lo scacco in Ucraina). Il pragmatismo di Putin gli ha permesso comunque di muoversi tra le differenti linee di pensiero che animano la politica estera (occidentalista, eurasista, neosovietista) traendone un notevole margine di libertà.
Dalla Russia di Putin è lecito attendersi una spiccata sensibilità per questioni di sicurezza intesa in senso lato: componente militare, economica e demografica. L’altro elemento che contraddistingue il background del presidente russo è, in parte conseguenza del primo, la mancanza di pregiudiziali ideologiche derivategli dal passato. Il tentativo di razionalizzare il sistema russo difficilmente passa per un esperimento di liberaldemocrazia. Putin ha replicato con decisione e pragmatismo ai potentati economici sviluppatisi dopo le politiche implementate da Eltsin-Gajdar e da Cernomyrdin. Agire in tal modo sul sistema economico generato in quegli anni è errato in uno Stato di diritto ma esso non era compatibile con le necessità di sicurezza e stabilità dello Stato russo. Mentre gli oligarchi manovravano le fortune finanziarie del paese, lo Stato si stava progressivamente sbriciolando. Non si pensi soltanto alla secessione cecena e alle rivendicazioni di altri gruppi etnici, dai tatari agli jacuzi, ma anche alla proliferazione dei potentati locali. Putin ha, di conseguenza, preparato la risposta al “localismo”. Dopo i fatti di Beslan, la riforma costituzionale è stata resa pubblica in tempi così rapidi che risulta difficile pensare non fosse pronta da lungo tempo, essa sostanzialmente abolisce i governatori eletti e li sostituisce con altrettanti legati governativi. La vista russa sullo spazio ex sovietico non appare soddisfacente: la crisi cecena non sembra avvicinarsi all’epilogo, basi americane sono presenti in Uzbekistan e Tagikistan, la Georgia è un protettorato americano, l’Ucraina si volge ad Occidente e in Kirghizistan è stato deposto il presidente “russo” Akayev. L’obiettivo del Cremlino è convincere l’Occidente che conviene continuare a puntare su Putin. Se l’Unione Europea volesse agire secondo i propri interessi, dovrebbe partire dalla constatazione del rapporto multisfacettato che la lega alla Russia: in primo luogo, è un grande mercato e verso quello spazio economico l’Europa si sta allargando; in secondo luogo, data la notevole dipendenza energetica europea uno sfaldamento del territorio russo renderebbe ardua la stabilizzazione del prezzo delle risorse energetiche aumentando la dipendenza europea verso i paesi del medio Oriente; in terzo luogo, ragioni di sicurezza implicano la tenuta del sistema russo (rischi di proliferazione di armi di distruzione di massa) ed infine, in un modo dominato da una sola superpotenza, l’Europa sarà tanto più libera di perseguire i propri interessi quanto più stringerà rapporti autonomi con altri grandi paesi. A tal scopo l’Europa dovrebbe smetterla di pensare che il “catechismo democratico” sia una panacea buona per tutte le latitudini. La politica europea verso la Russia oscilla fra tre orientamenti: “massimalista”, preparazione dell’ammissione della Russia nell’Unione, prevista implicitamente dal Partnership and Cooperation Agreement del 1994 e dalla Common Strategy del 1999; “intermedio”, subordinazione della cooperazione all’adozione da parte di Mosca degli standard europei in vista di un’area di libero scambio; “minimalista”, interesse per la stabilità e l’unità della Russia che non diventi una minaccia per le frontiere europee e per i rifornimenti energetici. La politica di Mosca è, di converso, più chiara: essa opera una distinzione tra Europa e Ue. La prima, a cui Putin e la maggioranza dei russi sentono di appartenere, è percepita come partner economico e potenzialmente strategico su tematiche specifiche (Medio Oriente, Onu, multilateralismo). L’UE, invece, è considerata geopoliticamente inefficiente e inaffidabile per la presenza di attori “russofobi” e per le tendenze moralistiche. Per l’Unione Europea la politica non va scissa dall’economia, nell’approccio con la Russia conviene puntare su una partnership economica senza vincolarla, considerate le attuali contingenze, a riforme interne. Nel contempo la Russia necessita anche degli Stati Uniti come garanti degli equilibri geopolitici mondiali e in Asia fino a che una migliore congiuntura non le permetta di gestire meglio le pressioni esterne. Tutti i modernizzatori russi hanno sempre guardato ad Occidente, almeno in campo tecnologico, dopo la fine della Guerra Fredda la politica russa è tornata alle origini, a rivolgersi all’Europa. Si tratta di vedere quale Europa, l’approfondimento del significato di tale differenza è centrale per i futuri scenari geopolitici dell’emisfero settentrionale.
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Seppur in ritardo ho letto il pezzo sulla Russia, anche se non sono una specialista dell’argomento, č sufficiente per farsi un’idea ed eventualmente approfondire uno dei temi sollevati.
Comment scritto da Lara — 12/20/2005 @ 10:43 am