MANIFESTARE/11

di Carmelo Sammartino

Albe Steiner, padre della grafica italiana, ha avuto il merito di rivalutare l’illustrazione traendola dal gorgo della comunicazione visiva di massa. L’innovazione introdotta ha raccontato il mondo “manifestando” ora una protesta ora una denuncia. Steiner, di cui è stato ristampato il manifesto del ’45 su Resistenza e ricostruzione, diceva che la responsabilità sociale del progettista è un aspetto centrale (allo stesso modo di altre arti e di altri artisti d’impegno sociale – come più volte sottolineato nello spazio di questa rubrica). Certo, in un sistema dove la comunicazione è sostanzialmente urlata e invasiva, può riuscire difficile cogliere il valore artistico del classico poster con un formato di 70x100 centimetri. Le finalità commerciali hanno bisogno di una pubblicità dalle grandi dimensioni, apparati galattici capaci di avviluppare la fragilità del fruitore che, per esempio, Jonathan Barnbrook ha denunciato creativamente disegnando uno spettacolare billboard: “Stay away from corporations: they want you to lie for them” (Stai lontano dalle multinazionali: vogliono che tu menta per loro). Manifestare è dichiarare, rendere pubblica un’intenzionalità. Molti autori (da James Victore a Uwe Loesch o al nostro compianto Massimo Dolcini) lo fanno percorrendo il terreno della sperimentazione, cosa che sembrava essere definitivamente tramontata o diventata tabù dopo la grande varietà di soluzioni messe in opera dal graphic design e dalle avanguardie artistiche del ‘900. Forse è ancora possibile bucare il muro dell’ineluttabilità e inventare strade nuove, abbandonando la noia delle ripetizioni e le giustificazioni che la coscienza [CoMoDamente] fa circolare.


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