I DISCHI DELLA CIVETTA

di Fabio Alessandria

Album di debutto per i nostri figliocci delle Rabbie Mobili, con pregi e difetti tipici di un album d’esordio. Voglia, freschezza, fretta e inesperienza su tutto. Formazione discretamente atipica: Davide Bardini, autore anche di gran parte di testi e musiche, alla chitarra ritmica e voce (continueremo nei secoli dei secoli a preferirlo come batterista, andate a sentirlo in Ho fame per aver la riprova), Ilaria Feole alla voce poetica (il riferimento va dritto ai Massimo Volume e, con sillogismo infallibile, ai primi urlati CCCP), Fabio Baresi alla batteria, più qualche coro e una spruzzatina di tromba e Damiano Cason, già leader dei Grassiellenti, unico a giocare nel suo ruolo naturale al basso (voce e chitarra acustica solo in Vorrei vedere: ovvero romanticherie pop che mi piacciono tanto). Poi gli ospiti. Alice Baccolo, bella e poco considerata in fase di arrangiamento e missaggio la sua linea di violino alla canzone dodici, e Jacopo Abate, al piano nella lunga Madame DàdA, varia e cinematografica traccia di metà disco. Diciamolo subito: l’album ha punti forti e difetti, alcuni dei quali evitabili. Si parte con Stasi pezzo bello grunge e poco in sintonia con la parte rimanente del disco, cosa che spiazza nell’assetto globale dell’ascolto. Per il resto il cd non è niente male, sebbene abbia qualche cedimento e risulti talvolta schiavo della sua stessa struttura di base. Alludo all’incessante dialogo tra parti cantate e parti recitate, al continuo meccanismo di alternanza tra fasi calanti, malinconiche, e fasi in crescendo abrasivo che rendono, alla lunga, troppo chiaro il trucco e tolgono un po’ di sugo a tutto il progetto. Tuttavia, pur con pezzi che in alcuni casi (Semi-Oscurità e Madame DàdA in modo lapalissiano) necessitano di una sforbiciata di un paio di minuti almeno, tutto il prodotto è piacevole e compatto nel disegno teorico. La produzione è affidata a Giovanni Bottoglia (attivo sia come fonico-producer sia come musicista in L’invasione degli omini verdi e assai noto come produttore artistico per la stragrande maggioranza dei gruppi dell’Alto Mantovano) che si dimostra come al solito puntuale e affidabile per la sezione ritmica, fa un grande lavoro per l’impatto sonoro complessivo della band, tutto sommato se la cava con le chitarre, che pure avrebbero avuto bisogno di molto più “corpo”, svilisce, invece, il cantato senza dargli il giusto spazio, il giusto peso, l’obbligatorio appoggio di cori e seconde voci di cui si sente maledettamente la mancanza. Resta da dire che l’album è costellato da ottimi ritornelli, assolutamente memorabili, nel solco della migliore forma canzone. Inoltre, in alcuni tratti, voce recitata e linee melodiche si intersecano alla perfezione, regalando piccoli gioielli in salsa popular. Un’ultima nota di merito alle linee di basso, nette e aggressive e ai tamburi, sempre molto precisi. Bardini ha talento come scrittore pop e l’originalità non manca: limati i difetti i nostri sapranno proporci grandi cose; imparando dagli errori e senza perdere la voglia della novità, tenendo anche presente che i migliori dischi rock di tutti i tempi raramente hanno sfondato il tetto dei quaranta minuti…


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