UN NOBEL A PINTER
Il Premio Nobel 2005 per la Letteratura è andato al drammaturgo inglese, o scrittore come viene chiamato in lingua inglese dove il teatro gode della stessa dignità della poesia e della prosa, Harold Pinter. Per me è stata una piacevolissima sorpresa, perché conoscevo le opere di Pinter da diversi anni. Mi era capitato per le mani un volume che raccoglieva le pièces di questo autore per me allora totalmente sconosciuto, un libro dell’Einaudi dalla copertina completamente blu, senza un disegno o un ghirigoro. C’era scritto solo Harold Pinter Teatro. La serietà mi incuriosì e cominciai a leggerlo. La cosa strana, a pensarci adesso, è che Pinter non solo mi piacque allora, da ragazzo, per il fraseggio asciutto, per la tensione che non si risolveva alla fine e per la semplicità del linguaggio, ma ha continuato ad accompagnarmi per tutti questi anni. Tanto che appena veniva messa in scena una sua opera correvo a vederla, quasi obbligato, come se si trattasse dell’opera di un amico alla quale non puoi non dare ascolto. Qualcuno ricorderà che proprio su queste righe ho recensito un anno fa, una specie di Alaska, andato in scena a Carpenedolo. Crescendo, tante letture che ci appassionavano da giovani perdono il loro smalto, si lasciano indietro. Per me è successo anche con Rimbaud per il quale deliravo dai quindici ai diciotto, ma che adesso, pur riconoscendone la grandezza è un po’ in ribasso nella mia hit personale. Per Pinter non mi sono mai strappato i capelli, anche perché ne ho pochi, ma ha sempre tenuto. La sua semplicità contiene una luce classica che resiste come il marmo alle intemperie, una cosa sempre più rara di questi tempi. Però, in occasione del Nobel, mi sono proprio chiesto il perché di tanto successo, la ragione pregnante del suo teatro. Credo sia questa: la sincerità. L’opera di Pinter è l’elogio della sincerità, ma un elogio indiretto, laterale, una dimostrazione per assurdo. Prende una storia banale, un legame di coppia, un’amicizia, un ammalato in casa e toglie dal rapporto umano l’onestà. Non si parla del sentimento malevolo della disonestà, dell’arte di truffare il prossimo, dell’egoismo umano, no, Pinter ci parla dell’onestà verso noi stessi. Ciò che resta assomiglia proprio alla realtà contemporanea. Il poderoso lavoro di condizionamento che, dall’infanzia, viene propinato dà i suoi frutti. La mancanza di collegamento, l’oblio, con la parte più sincera ed egoista di noi stessi, con quel principio del piacere che non riusciamo a sottomettere. Pinter afferma che anche il sonno degli istinti genera mostri, poiché ciò che è represso torna in forma nevrotica. Quindi si hanno coppie che stanno insieme senza sapere bene il motivo, ammalati truffati per eccesso di pietà, vergogne nascoste, bugie trascinate per anni. Questo perdurare nella finzione con noi stessi, questo non accettare il male che è dentro di noi, porta a una quantità di male ancora superiore. Il male è apportatore di cambiamento, questa è la qualità positiva del male, con il male lasciamo la vecchia e sicura via per l’ignoto. Mancare a questa pulsione profonda del nostro essere porta a restare fermi sulle proprie posizioni, a non cogliere la vita nel suo farsi continuo e pluriforme. Troverai la tua via solo quando avrai il coraggio di perderti, dice un vecchio poeta indiano. L’umanità di Pinter è una umanità senza coraggio, asservita a idee che le sono state imposte e che invece crede proprie. Il commediografo inglese denuncia l’ipocrisia dei tempi nostri, ma là dove essa si forma, e cioè dentro di noi. Ecco perché è così disturbante andare a vedere Pinter a teatro, ecco perché ci vuole tempo per avvicinarsi a ogni sua opera. Proprio l’autore ricordava come spesso gli sia capitato un concerto di fischi alla prima di una sua pièce. In effetti, i fischi erano sinceri, mostrano il disprezzo verso chi ci chiama in causa. Pinter vede bene che la società è lo specchio dei nostri desideri, e parla proprio della meschinità di questi. Meschinità che ci fa meritevoli dei governi che abbiamo, della qualità sempre più bassa della vita, dell’alienazione nei confronti della vita. Coraggiosa quindi la commissione dei Nobel e da più parti si ripete che poche altre volte un’assegnazione è stata tanto azzeccata. Pinter da parte sua, uomo poco incline ai convenevoli, sempre un po’ truce nell’aspetto e nei modi, uomo che mette soggezione a chi lo incontra, a sorpresa ride e non sa trattenere lacrime di gioia. Se lo può permettere.
Alcuni libri di Pinter in lingua italiana
Teatro. Vol. 2, Einaudi 2005.
Teatro. Vol. 1, Einaudi 2003.
Prove d’autore, Einaudi 2002.
Anniversario, Einaudi 2001.
La collezione. Paesaggio, Einaudi, 1999.
Ceneri alle ceneri. Testo originale a fronte, Einaudi, 1997.
Chiaro di luna, Einaudi 1994.
I nani, Einaudi 1993.
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