UN’ETICA PER IL POST-MODERNO

di Leonardo Tonini

Quando cerco una direzione nella molteplicità del moderno mi rivolgo alla musica. Come i semiologi presero in prestito le categorie della linguistica per interpretare il reale, così io mi avvalgo della storia recente della musica, da Schömberg a Cage e da quest’ultimo fino a Berio e oltre. Così vengo a sapere, da un articolo di Piero Santi su Civiltà Musicale di qualche anno fa, che è incorsa una grande trasformazione nel modo di intendere la musica dal romanticismo alle avanguardie storiche, da qui alle neoavanguardie, per finire oggi con la grande rivoluzione della post avanguardia. Nel corso dei decenni, il criterio qualitativo è stato abbandonato e sostituito dal criterio quantitativo o statistico. Le nozioni di intervallo, di formulazione ritmica, di dinamica espressiva ecc., ancora tipiche della musica delle avanguardie storiche sono venute via via soppiantate dai concetti di massa, densità, campo, alea. Alla composizioni post-schömberghiana (o meglio post weberniana) basata ancora su un articolazione di tipo classico si è sostituito, da Cage in poi, la materia come elemento musicale, il rumore, la quantità. Si è giunti così a una vera e propria forma-materia basata sull’oggettualità indifferente e indiscriminata che ha soppiantato la forma-critica e la coscienza storica. Cage, dice Santi, non è stato che un emblema, preso a discrimine perché ha segnato clamorosamente l’avvenuta presa di coscienza, fino ad allora occultata dalle vestigia della qualità. E il fatto paradossale è che questa musica-quantità così totalizzante ha prodotto qualità, molta più qualità e molto più alta che nel periodo seriale, a ben vedere. Non solo si è avuta una vera e propria esplosione della produzione (la musica di Schömberg e di Webern è rimasta chiusa nel suo elitarismo), ma anche la fruizione ne ha grandemente beneficiato. La musica di Stockhausen e di Berio è più interessante e al tempo stesso più godibile di molti pezzi atonali e dodecafonici. Tutto era già in nuce nei tre paladini dell’avanguardia storica, ma è avvenuto come fra Cézanne e Picasso. Cézanne mirava a una pittura analitica, che scomponesse la forma e il colore nei suoi elementi primari, ma il risultato (il visibile) fu una nuova sintesi che venne subito colta dal giovane Picasso nel suo periodo rosa e blu. Insomma, per non uscire dal seminato, la musica ultracolta dei tre di Vienna che nasceva da una profonda e attenta conoscenza del linguaggio musicale prodotto fino a loro, si presentava come una strana accozzaglia di suoni a cui mancava libertà e bellezza. Dalla neoavanguardia alla postavanguardia si è giunti con il passaggio dal pessimismo all’ottimismo. L’ansia di assoluto che permeava le composizioni di Cage e dei suoi efori, la voglia inesausta di creare un’antimusica, di arrivare al limite estremo della musica è, di colpo, venuta meno. La differenza è entrata nella composizione e dalla ricerca si è passati al gioco. Oggi, grazie a questo cambio di atteggiamento, si assiste a un fiorire di linguaggi personali, i nomi sono forse ancora poco conosciuti al pubblico non esperto, ma si fanno strada. Le texture di Clementi, le composizioni di Busotti, di Kagel, di Schnabel insieme a quelle di molte altre segnano oggi il farsi storia della musica, il presente. Tutto questo poterebbe sembrare molto bello, e lo è, ma non è solo bello, c’è anche un lato – ahimè – negativo. La musica di oggi si muove nel mondo di oggi e porta con se molti elementi che sono propri del neoliberismo imperante. La nuova oggettualità che non conosce confini e che si allarga ben di là del sonoro ricalca il modello occidentale del denaro e delle merci. La parola d’ordine pare essere: se è possibile deve essere fatto. In questo modo si trasforma la differenza in indifferenza, ed è questo il rischio più grande della contemporaneità, nelle arti come negli affari, nella politica come nell’amministrazione della giustizia. Non esistendo un criterio interno che faccia da spartiacque tra il bello e il brutto, diventa bello ciò che può permettersi di esserlo e questo a scapito di ciò che, non avendo questa forza, è relegato nel brutto. Questo principio estetico si trasforma, cambiando i termini, nel principio etico della modernità: è buono ciò che ci viene propinato come buono. Non per niente questa società dove, in apparenza, esiste molta più libertà che in passato, viene chiamata società del controllo. Il controllo è sempre controllo del desiderio e chi ha gli strumenti per controllare il desiderio ha il potere. Rendere visibile è il modo in cui il desiderio viene indotto. L’arte non consiste nel fare un quadro, ma nel venderlo, sostiene Jeff Koons. Il denaro crea il gusto. Come uscire? Aumentando il numero degli onesti, di chi non segue mode, di chi non si piega alla logica della visibilità, di chi lavora per il piccolo, per l’inattuale. Dsi chi produce, nonostante le storture del mondo, un entusiasmo contagioso. Distruggendo vecchi e nuovi schemi che ci imprigionano, spegnendo la televisione che è oggi l’arma più micidiale contro la nostra integrità, creando concetti nuovi, favorendo leggi che limitino eccessive concentrazioni di potere nelle mani di poche persone, uscendo dalla logica della gerarchia e così via. Utopistico? Mica tanto, visto che oggi tantissime persone in tutto il mondo spendono la vita per questo. Negli anni settanta siamo passati dalla logica della produzione a quella del consumo e il mondo si sta trasformando in un grande supermercato (per chi può). Nel supermercato tutto è bello e buono, cioè vendibile. Per fare questo si cerca in tutti i modi di eliminare lo stesso concetto di male con metodi che richiamano, curiosamente, l’arte del chirurgo: prima individuo cosa fa male e poi lavoro per distruggerlo. La metafora medica traspare nel linguaggio dei media, si parla infatti di intervento mirato e di operazione militare. Se noi siamo dei bersagli (target) di una società che fissa i nostri desideri in oggetti ben definiti (merci), la mia ricetta è quella di essere continuamente mobili per non diventare noi stessi funzionali alle merci. Spostandoci a intervalli irregolari e in direzioni sempre nuove diventiamo imprendibili, ci sottraiamo al potere. Il modo più semplice per ottenere questo è quello di coltivare il nostro entusiasmo, essere, per dirla con il poeta arabo Adonis, desiderio che avanza nelle mappe della materia.


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