L’IMMAGINE DEL FEMMINILE
NEGLI ULTIMI LAVORI
DI CRISTINA MARCHETTI
Cristina Marchetti, nata nel 1980 a Castiglione delle Stiviere, dove vive, dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Guidizzolo, si iscrive a Beni Culturali. È un’artista silenziosa, che parla poco della sua arte ed è quasi restia a mostrare le sue opere. Dopo un paio di collettive di giovani artisti a Castiglione e Remedello, nel febbraio 2005 le viene dedicata una personale a Calvisano intitolata Equatore Boreale. I soggetti presenti in quest’ultima mostra sono gli animali, soprattutto quelli comunemente considerati più esotici (la tigre ovviamente salta subito alla mente), ma particolare attenzione venne per fortuna data all’allestimento, ove venivano messe in rilievo le onde di colore, forte, che creavano le cromie delle varie tele studiatamente accostate. La pittura di Cristina è scandita da fasi, brevi, ben delineate e differenziate, in cui le fonti d’ispirazione sono chiare. Importante per lei è stato lo studio della storia dell’arte e delle tecniche, e visibile è il rispetto che porta per i maestri del Novecento, anche nella citazione (di cui mai si appropria totalmente). In una produzione decennale sono ovviamente presenti i paesaggi scolastici, buona palestra per la sperimentazione e il cambiamento di tecniche. Cristina non si limita a soggetti; da notare però come sia preponderante quello animale, che attrae sempre lo spettatore e che le ha dato modo di studiare la fisicità, la forma, il movimento. Conversando con lei, è chiaro il tono di gratitudine nei confronti dei pittori futuristi, dai quali è attratta principalmente per la loro decisione nell’uso del colore, ma non solo, anche l’uso dello spazio della tela, la definizione plastica delle posture dei soggetti ora umani, risentono di un gusto particolare per questo movimento del primo Novecento italiano. Paradossale (come diversi aspetti dell’arte di Cristina Marchetti) è la realizzazione di un effetto coloristico potente, fluorescente – soprattutto nelle ultimissime produzioni – attraverso una tecnica che nell’immaginario comune è considerata fine a creare un effetto delicato, quasi evanescente: l’acquerello. Ma usato in maniera pesante, decisa, memore di tutta quella pop art così attuale nelle pubblicità. E molto pop è il rimando allo splendido artista americano Jean-Michel Basquiat (1960-1988), mago dell’autotrasformazione, dell’autodistruzione e icona anni Ottanta, che adorava gettare sotto lo sguardo di tutti gli effetti dell’eccesso –di denaro, di sesso, di visibilità… Cristina, forse quasi inconsapevolmente, fa ella stessa un’arte di provocazione quando negli ultimi lavori del 2004-2005, ispirati alle immagini delle riviste, ove pullula il luogo comune, analizza in maniera molto pacata (e quindi apparentemente non provocatoria) un’immagine del femminile che le donne e gli uomini, volenti o nolenti, subiscono. Ma l’aspetto ideologico non è il solo in comune con l’artista americano: i volti di queste donne da magazine ricordano le donne di Haiti (luogo d’origine del padre di Basquiat) di Gauguin e i graffiti, ma notevolmente ingentiliti, dell’artista afroamericano scomparso precocemente. Ecco che queste ultime tele hanno un’identità marcata e contenuti solidi, in cui la sperimentazione (mai bloccarne il flusso!) continua con una maggiore decisione specie per quanto riguarda la trasmissione del contenuto. Si è detto dell’eco di Gauguin (1848-1903), ma un Gauguin reso leggibile a noi oggi, attualizzato: Cristina non ha semplicemente ripreso le fisionomie haitiane e le ha inserite nei suoi lavori variandole, ma ha ribaltato il motivo gauguiniano in una prospettiva odierna, rimettendo in discussione quei deboli concetti di “etnico”, “esotico”, sul filo della ricerca che gli studi culturali hanno proposto negli ultimi anni. Così questi luoghi comuni culturali divengono quasi la parodia di questo modo imposto di catalogare i corpi e le persone. Questi corpi, con tanto di atteggiamenti, promossi dalle pubblicità, ci sono presentati, se non imposti, come corpi di ‘alto valore’. Si può dire che questi corpi da pubblicità, scultorei – così sono rappresentati da Cristina, come sculture lignee, che ella stessa produce ma non volentieri mostra, gelosa della loro bellezza! –, in posa, ammiccanti, ma statici, sono oggigiorno dei corpi icona, ‘belli’ per chi stabilisce i canoni di bellezza attuali. Ma spingerei a pensare a quali sono storicamente i corpi icona – da quello straziato di Gesù in croce a quello anoressico di Twiggy –; questi sono corpi unici, che molti hanno tentato di imitare, riprodurre, ma che nessuno ha raggiunto nella loro emblematicità e artisticità. Oggi i corpi ‘belli’ sono di tanti, si è spinti ad essere ‘tanti belli’, ad abbracciare questa bellezza pop che è icona collettiva (o omologazione?). Ma allora ci si chiede se esistano ancora icone e come le si possa distinguere. Un’icona pop di oggi (ma anche di vent’anni fa) è Madonna Ciccone, che si dice essere un’icona per aver precorso i tempi; direi piuttosto che lo è per averli scavalcati, per non aver dato tempo ai tempi dello spettacolo di sbiadirla, perché un’icona è anche qualcosa di fermo oltre il tempo, al di là del tempo, come se lei (pop star) del tempo letteralmente se ne fregasse (si prenda come esempio nostrano Vasco Rossi). Allora le iconine da piccolo schermo, da minipagina di rivista, sono prototipi di icone che ci vengono venduti come vere icone, ma a guardarle bene sono sbiadite, sono più mannequin immobili il cui corpo sembra contrarsi e rimpicciolirsi sempre più ad ogni sguardo che ricevono nel marasma standardizzato in cui sono inserite.La ricerca di Cristina Marchetti è ancora tutta in corso e personalmente spero che questo lavoro sul femminile della pubblicità continui, per rivelarci in nuove immagini artistiche quello che sfogliando velocemente le riviste non cogliamo e non intuiamo.
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