IL FALCO E LA ROSA,
FOTOGRAFIE DI GIORGIO MUTTI

di Eliseo Barbāra

Al centro di una delle sale di Palazzo Menghini, a Castiglione, c’era un grande cavalletto da pittura che era stato di sicuro consumato e sfruttato, anche perché il legno era pieno di macchie colorate d’azzurro, rosso, verde e violetto. Il cavalletto non sosteneva nessuna tela né finita né un work in progress, bensì una grande fotografia intitolata Laghi di Sovenigo. Al di sotto di una leggera nebbia, due cigni e la loro giovane prole si lasciano trasportare, indisturbati, dalle onde del laghetto. L’autore dello scatto è Giorgio Mutti, fotografo di Desenzano e nativo di Castiglione, che – nel mese di marzo – ha presentato una selezione di alcune sue fotografie pubblicate nel libro Il falco e la rosa – Le colline moreniche del Garda. Immagini e racconti. Menzione speciale al Premio Grinzane Giardini Botanici Hanbury 2005, il libro è il tentativo felice di unire la fotografia naturalistica di Mutti con la narrativa di Costanza Lunardi. In queste fotografie si ammirano i colori, le forme (a volte astratte e altre geometriche), e poi il silenzio della natura. Un silenzio che sembra annoiare… Ma che in realtà nasconde una straordinaria sensazione d’attesa, alimentata da un profondo rispetto e amore per l’ambiente. Forse la noia, persino il fastidio, per questo tipo di fotografia può appunto derivare dall’assoluta mancanza di pazienza e sensibilità da parte di chi guarda queste immagini (io per primo). Quelle che Mutti ha selezionato sono, tra l’altro, scorci – ricercati con minuziosità quasi archeologica – che riguardano da vicino noi abitanti delle Colline Moreniche. Si tratta di quei paesaggi troppe volte dimenticati e spesso sconosciuti che non vediamo mai dalle strade asfaltate che tutti i giorni percorriamo. Il fotografo quindi cambia itinerari e, munito del giusto armamentario (materiale e psicologico), si aggira come un archeologo alla ricerca di qualcosa che sta scomparendo. Attende e, silenziosamente, ruba alla natura una sua immagine, magari “bella”, ma anche triste e tragica in quanto sembra presagire un’imminente senso di morte. Se non della natura e dei suoi mondi, almeno della nostra consapevolezza di ciò che ci sta(va) intorno. La natura, appunto.


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