FOTOGRAFIA
POTERE SOVVERSIONE PENSIERI

di Eliseo Barbāra

“La Fotografia è sovversiva non quando spaventa, sconvolge o anche solo stigmatizza, ma quando è pensosa”, scriveva Roland Barthes. Penso all’incontro, a Milano, con il fotografo Ferdinando Scianna e l’ex ambasciatore e storico Sergio Romano. Si parlava di fotografia e storia, fotografia e potere. Penso alle propagande degli Anni Trenta e a quelle di oggi. Quelle spudorate e castranti, queste affilate, fini, quasi divertenti, spesso inefficaci. Sempre fittizie le une e le altre. Penso ai falsi storici o alle mezze verità dette con la fotografia. La bandiera sovietica sventolante sul Reichstag denazificata (la presa della città era già avvenuta e il fotografo ha chiesto a un soldato russo di mettersi in posa); i marines inscenano un atto di amor patrio quando a Iwo Gima innalzano il drappo a stelle&strisce; il vietcong giustiziato in strada fotografato da Eddie Adams (immagine ritenuta il simbolo della follia bellica che colpisce gli innocenti, in realtà il giustiziato era un terrorista che aveva appena ucciso dodici persone). Di certo una vendetta ripugnante, ma la fotografia è stata privata di preziose informazioni che le avrebbero dato altri significati. Insomma è stata strumentalizzata, pur con il nobile intento del pacifismo. Penso alla recente fotografia della famiglia reale spagnola che Juan Carlos ha inviato ai suoi sudditi per gli auguri di Natale 2005: si scoprì subito che era un fotomontaggio e che re, regina, figli e nipotini non avevano mai posato insieme per quella foto. Dio salvi il re! Penso a Stalin che eliminava i suoi nemici anche dalle fotografie tanto che, una volta, uno sprovveduto fotografo, per ordini superiori, cancellò tre uomini ma ne dimenticò i piedi. Risultato: intorno a Stalin ci sono solo tre uomini, ma dodici piedi. Penso alle fotografie-ricordo delle torture di Abu Ghraib e penso a che cornice si era pensato di inserirle. Penso alle parole di Sergio Romano: “quanto più il fotografo è stupido, più la foto è grande”. Una stupidità intesa come pulita da vizi ideologici, intesa come innocente e ingenua. Ma mai ingenua prima e nemmeno dopo lo scatto, precisa Scianna. Il fotografo è libero, deve comunicare con onestà, sincerità e indipendenza, non deve avere le mani legate e non deve farsele legare dalle catene del Burattinaio del Potere. E poi lo spettatore: deve essere sempre all’erta, mai passivo e credulone, a volte critico e cinico. Deve porsi continue domande pur sapendo che da una fotografia non potrà mai avere una verità. Rileggendo Barthes: “io vedo, sento, dunque, noto, guardo e penso”.
Viva la sovversione!


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