CASTEL GOFFREDO


CRONOLOGIA DI UNA FESTA MALVOLUTA

Preparativi per la festa
A inizio marzo i partiti del centrosinistra di Castel Goffredo (MN) chiedono ad alcuni ragazzi (sfruttando come è logico conoscenze e parentele) di organizzare una festa per sensibilizzare al voto e promuovere i valori della sinistra. L’intento è chiaro: prendere qualche voto da persone che di solito sono disinteressate; nel paese sono molte. I ragazzi (cioè noi) dopo una riunione decidono che, con i finanziamenti dei partiti, la festa si può fare, anche se con alcuni paletti: la scelta dei contenuti è nostra, ci riserviamo la decisione di distribuire o no il materiale dei partiti (si deciderà per il no). Lo spazio preso in considerazione per la festa è il Parco “La Fontanella”, in pieno centro, in gestione all’Associazione “El Castel”. L’Associazione dà subito il suo assenso e il Comune non sembra essere particolarmente interessato, anche perché (ce ne assumiamo la responsabilità) non abbiamo specificato che la festa sarà finanziata dalla sinistra. Non l’abbiamo fatto innanzitutto perché abbiamo scelto di inserire contenuti solamente nostri, ma anche perché, in relazione a ciò, non ci sembrava giusto pregiudicarci del pubblico: infatti in nessun modo abbiamo fatto comparire simboli politici (quindi non si vede quale sia il problema degli accusatori) e non solo in un primo momento non abbiamo specificato la provenienza dei fondi al Comune, bensì non ne era a conoscenza proprio nessuno. Colpevoli di troppo scrupolo, d’altro canto, ci è sembrato giusto puntualizzare la cosa; ed ecco che all’improvviso si accende l’interesse dell’Amministrazione Comunale: il giorno prima della festa il sindaco convoca Luca Cimarosti, titolare della richiesta dell’autorizzazione, e gli spiega informalmente i motivi per i quali la festa non si potrà fare: il regolamento della Fontanella non prevede lo svolgimento di manifestazioni politiche. Dato che mancano solo 24 ore, dopo aver visionato il regolamento ci rechiamo alle ore 20 presso l’abitazione del sindaco per spiegarle che il punto a cui si riferisce in realtà non esiste. Siccome non siamo in sede ufficiale, il sindaco non vuole starci a sentire, così ci convoca in Comune per la mattina seguente. Consci che i rapporti ormai sono tesi, ci informiamo su leggi statali e su circolari provinciali cui il sindaco avrebbe potuto far riferimento (ed effettivamente ne troviamo una che, pur non impedendoci la manifestazione, lascia al sindaco l’iniziativa su eventuali distribuzioni di materiale di propaganda), visto che la motivazione del regolamento della Fontanella era totalmente falsa. Se avesse mantenuto quella posizione, quindi, ci saremmo rivolti al prefetto. Tempo sprecato comunque.

L’incontro con l’Amministrazione
Durante l’incontro, infatti, i nostri interlocutori si rifiutano di parlare di leggi e procedure (in realtà siamo dubbiosi sul fatto che le conoscano, seppur giornalmente a contatto con la materia). I suddetti sono: sindaco, vicesindaco e un consigliere della maggioranza. Il primo ad accoglierci è il vicesindaco, con un paio di battute degne delle migliori lezioni di berlusconismo mediatico (“ce l’avete nel DNA di sedervi sulle scale” – riferendosi al fatto che, siccome in Comune non ci sono sedie né tavoli, eravamo sulle scale a studiare i regolamenti provinciali); subito dopo scannerizza le nostre identità, come se stesse per sporgere denuncia (in realtà per intimorirci, visto che alcuni di noi non sono ferrati nel (non)dialogo con le istituzioni), in questo modo: Luca Cimarosti, “ah…il moroso della figlia dell’assessore, stai attento tu…”; Damiano Cason “ah sei il figlio di Cason tu? Sai che assomigli molto (ridendo) a tuo padre?”; Miriam Boscato, “un’altra manovrata dai genitori”; Carlo Pinzi, “il figlio dell’ottico? Tutta gente ben inquadrata insomma”; probabilmente non rendendosi conto che ha a che fare con persone adulte, comprese tra i 22 e i 27 anni, alcune delle quali anche laureate, e non certo con ignari adolescenti sospinti dai genitori. Quando il Berlusconi dei poveri finisce il suo show, ecco arrivare finalmente il sindaco: se rappresentasse le donne, dovremmo opporci alle quote rosa. La nostra richiesta di motivazioni per il no alla festa, scritta e protocollata come da procedura, è sulla scrivania, e non viene nemmeno degnata di uno sguardo. Senza che noi abbiamo ancora pronunciato una parola, il sindaco si lancia in pesanti accuse facendo sfoggio di retorica a tutto campo, che più o meno suonano così: “siete dei falsi, dei bugiardi, manovrati dagli adulti e non permettetevi mai più di invadere la mia proprietà all’ora di cena; vedo otto persone arrivare a casa mia…mi sono anche spaventata”. Mentre cerchiamo subito di chiarire l’ultimo punto, perché non vogliamo passare per maleducati, spiegandole che non potevamo fare a meno di raggiungerla a casa dato che mancavano meno di 24 ore alla festa e c’era molto lavoro da fare, si delineava già il risultato dell’incontro: rifiuto totale al dialogo, sfoggio di retorica (“Gesù preferiva le puttane ai Farisei”- forse pensava di essere in chiesa e non in comune) per mascherare l’ignoranza in leggi e procedure, tattica della dimostrazione di forza per far tacere l’interlocutore (“qua comandiamo noi”), il tutto condito dalla confusione totale di una chiacchiera sopra l’altra come nel peggior bordello. La scena si svolge più o meno così: il sindaco, seduto in poltrona, conduce i suoi dieci minuti di gloria con la sua predica piena di vuoti (vuoti di contenuto s’intende); il vicesindaco si aggira per la stanza baldanzoso con il suo show di ideologie arretrate e semplificazioni popolari (“voi siete a favore dell’aborto? Non fate altro che uccidere bambini”); il giovane consigliere si limita a sedere vicino al sindaco aggiungendo solo una voce al già incomprensibile coro in dissonanza. Tutto questo sono riusciti a fare invece che dare una semplice risposta: “Sì, potete fare la festa” o “No, non potete fare la festa perché…” (e noi ci aspettavamo la seconda, visto che ci eravamo preparati su regolamenti e norme). Quando riusciamo finalmente a interrompere tutto questo e a far capire che l’unico motivo per cui siamo lì è per avere una risposta, il sindaco proclama “ma sì, fate la vostra festa”, come se ci stesse facendo l’elemosina, “ma ricordatevi che il paese da adesso saprà chi siete, cioè non persone perbene; e sono rimasta delusa da qualcuno di voi che conoscevo personalmente”. Raccontata così, sembrerebbe che non ci sia scampo a Castel Goffredo: se si hanno idee diverse, si è catalogati come “cattivi”. In realtà, se c’è una paura che non abbiamo, è quella dei giudizi manovrati. Questi dieci minuti possono invece spiegare molte altre cose: la radicalizzazione delle lotte sociali non è di certo slegata dal rifiuto costante del dialogo da parte delle istituzioni, e il fatto che “capetti” di un piccolo paese di provincia tentino di imitare i loro eroi di grosso calibro non è certo di buon auspicio. Venite a vedere com’è bella la vita a Castel Goffredo.

P.S.: Facciamo notare ai lettori, ma soprattutto ai rappresentanti delle istituzioni castellane, che, per correttezza, gli unici nomi che abbiamo citato sono i nostri, a testimonianza della totale autonomia e indipendenza intellettuale che ci contraddistingue.

Damiano Cason,
Carlo Pinzi, Luca Cimarosti, Miriam Boscato (giovani, falsi, strumentalizzati)


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