I FURBETTI (2)
I CONTI IN TASCA DI LUPIN III


Proseguendo nel nostro breve viaggio tra i “furbetti del quartierino” cerchiamo di tracciare un breve profilo dei due massimi esponenti della “razza padana”: Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti. Mantovano il primo e bresciano il secondo provengono da ambienti lavorativi diversi: uno riesce a rastrellare capitali con la tecnica della leva finanziaria (acquisto una società emettendo obbligazioni, spesso convertibili, che vendo sul mercato: ho la proprietà della società e scarico il rischio sui possessori delle obbligazioni!), l’altro li sa fare fruttare nei punti nevralgici del sistema aziendale. Roberto Colaninno era un oscuro manager sdoganato da Carlo De Benedetti, Emilio Gnutti ha fatto i soldi e le conoscenze importanti nella patria dei re del tondino. Si conoscono a Brescia quando Colaninno dirige la Banca Agricola Mantovana e dal quel momento iniziano un sodalizio che si coronerà con la più grande scalata societaria mai realizzata in Italia: Telecom Italia. La loro ascesa repentina è per molti stata considerata un mistero, ma è indubbio che i due avessero capacità non comuni, come si può capire da quella che è stata la composizione azionaria della società finanziaria Hopa. Nata dalla fusione con Fingruppo, Hopa si è sempre caratterizzata come una struttura di partecipazione nella quale si parlava di affari e non di politica, come sottolineava Gnutti; ma forse non era proprio così visto che molti la consideravano una “banca d’investimenti bicamerale”. Se si scorre l’elenco dei soci alla metà del 2005 si scoprono delle convivenze davvero curiose: sedevano allo stesso tavolo degli azionisti gruppi appartenenti alla destra, al mondo cattolico e alla sinistra. La composizione azionaria in quel momento era quanto mai curiosa, se non singolare, se si pensa che l’ultimo ad entrare nel salotto bresciano fu Fininvest-Mediaset.
Le due società del Biscione, irriverenti verso il conflitto d’interesse, erano seconde nella graduatoria dei soci Hopa con il 5,33%. Prima del gruppo Fininvest-Mediaset era arrivato un altro amico del cavalier Berlusconi: Aldo Livolsi, ex amministratore delegato della Fininvest, oggi capo della Livolsi & Partners, la merchant bank che ha gestito l’affare Cirio-Cragnotti. Scorrendo l’elenco alfabetico dei soci di allora, verso la fine si trova l’Unipol con il 5% del capitale e poi il Monte dei Paschi di Siena con il 3,7%.
Con il 4,38% della Hopa c’era la Banca popolare di Lodi, guidata dal cattolico Gianpiero Fiorani, referente primario di Antonio Fazio. Da sempre vicini al banchiere bresciano la Jp Morgan Chase con il 2,25%, l’ex Antonveneta con il 4,36%, il Banco di Brescia, Capitalia di Cesare Geronzi e il gruppo Ricucci, con il 2%. Dall’elenco dei nomi presenti e da come si sono evolute le cose sino ad oggi ciascuno può trarre le proprie considerazioni sullo stato di arretratezza del nostro capitalismo, sullo livello quasi disgustoso delle connivenze e, non ultimo sul quel falso moralismo cattolico, basato sul principio del perdono, troppo spesso utilizzato come utile strumento per passare un colpo di spugna sui casi più eclatanti di frodi e malaffare di cui il nostro paese è sistematicamente costellato nella sua storia, alla faccia del popolo bue.


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