LE PARTICELLE ELEMENTARI

di Davide Bardini / ibridumb@yahoo.it

Un film che poteva urlare e invece ha solo sussurrato. Oskar Roehler, regista esordiente tedesco, presenta all’ultimo Festival del Cinema di Berlino Le Particelle Elementari, un film tratto dal best seller omonimo dello scrittore Houellebeq. Berlino. Bruno (Moritz Bleibtreu, orso d’argento per il miglior attore protagonista) e Michael (Christian Ulmen) sono fratellastri da parte di madre che, in giovane età, li abbandona scegliendo la vita Hippie. Il primo dei fratelli è insegnante di letteratura in un liceo ed è sessuomane, il secondo è un famoso ricercatore scientifico ed è sessuofobo. I due attori e le due attrici (Franka Potente e Martina Gedeck) se la cavano egregiamente dando vita ad un reticolo di rapporti e relazioni interpersonali che sorreggono l’intera trama, che danno la struttura a tutta l’opera. La regia non è male anche se, a mio parere, manca ancora un po’ di maturità rispetto ai tempi dell’immagine e al montaggio, ma è il suo esordio quindi si può pazientare. Il problema sta soprattutto nella sceneggiatura. Il finale è moscio all’inverosimile e debolissimo, non rispetta il compito di chiudere degnamente un film comunque potente ed interessante… Insomma, risolvere la sofferenza di un personaggio per la scomparsa della persona amata, tramite le solite vecchie e bolse visioni della persona stessa che accompagna spiritualmente la metà rimasta viva, hanno davvero stancato. La sceneggiatura, ancora, è incapace di approfondire i molti temi interessanti sollevati solo in piccola parte dal film. Come spesso accade per di più, a causa dell’incapacità insita nella fruizione di isolare il messaggio cinematografico da quello letterario, la maggioranza degli spettatori che prima avevano letto il libro sono rimasti poi molto delusi. Il romanzo invero, pur mettendo l’erotismo in primo piano come accade anche nel film, lo fa con un’intimità molto più morbosa e viscerale. Le descrizioni delle situzioni narrate presenti nelle pagine di Houellebeq hanno l’odore del sudore e della malattia, della pulsione incontrollabile; qui certamente si accusa la grande lacuna del film: quell’icapacità di scendere a fondo, di provarci, di sprofondare l’immagine nell’eros. Roehler è stato insomma furbo nel prendere in considerazione un libro acclamato e al contempo scomodo, ma ne ha voluto esaltare, forse per paura di insuccesso e censura, soltanto il primo aspetto; ha gettato in pasto agli squali del grande pubblico un film che poteva essere assolutamente d’essai, gustato da chi non si scandalizza per un orgia o per un pompino con ingoio. È spaventosa la paura che la gente ha ancora del sesso e dell’immagine di esso, e spaventoso è che, come predisse più di vent’anni fa il grande Cronenberg, la capacità di discernere l’immagine dalla realtà è sempre più sottile e sempre meno operativa. Il rischio è che la forza della bidimensionalità in movimento venga utilizzata da un potere assoggettante che, un giorno magari, non sarà costretto ad agire dietro le nostre spalle, ma potrà farlo davanti ai nostri occhi e ci comanderà come robot. Il cinema spaventa e fa paura quindi perché supporto di immagini, placcato da un organismo di censura marchiato perbenismo e Vaticano, che imprigiona la libera espressione e ammutolisce l’arte. Peccato! Ancora un’occasione persa; un film che poteva urlare ma che ha solo sussurrato


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