GIOCO/04
Tutta la storia dell’arte può essere vista, o rivista, dalla mente di un pittore in maniera totalmente libera da cronologie e consolidate gerarchie. Si può unire il metodo, il rigore, l’approccio analitico di un Cézanne, all’istinto, al gesto liberato, al senso del colore di un Velàzquez. Si può aprirsi, fertilmente recuperare il concetto orientale di spazio dipinto che è infinito e risolvere i problemi in modo apparentemente illogico. Questo significa che a volte si fanno disegni preliminari, altre si dipinge direttamente, in altri casi si inizia un quadro e poi lo si ricopre tutto finché non diventa un altro. E se un dipinto non funziona lo si può buttar via. La pittura ha in sé un’infanzia affinché i pittori possano giocare. Proust ricorda che, grazie al gioco dell’arte “anziché vedere un solo mondo, il nostro, lo vediamo moltiplicarsi, e quanti più sono gli artisti originali, tanti più mondi abbiamo a disposizione, diversi gli uni dagli altri”. Per “giocare la pittura” è necessario non “dominare la pittura”, nel senso che i momenti ad essa destinati devono essere sciolti da ogni legame creduto necessario, disponibili soltanto al piacere di essere in gioco. Un recente allestimento all’Aka di Roma dedicato a questo tema, sottolinea come il gioco sia fonte di ispirazione ma anzitutto sedimento della memoria ludica dentro cui recuperare piccoli rituali irrinunciabili, regole mai scalfite dal tempo, sensazioni intatte come la meraviglia e l’imprevisto. I lavori in mostra, evocano percorsi ciclici da ripetere più e più volte, come ogni gioco antico che si rispetti. Come scrive la curatrice Raffaella Guidobono “tutto ciò che resta tra i sensi più puri dell’infanzia riaccende la sfida per recuperare i tabù della sconfitta contro l’avversario, della scoperta di un nascondiglio, del possesso e della perdita immediata”. La mostra romana, una sorta di site-specific work, ha interpretato liberamente gli aspetti simbolici del gioco, come ad esempio l’opera di Marco Bernardi con il suo treno che si muove su un binario circolare compiendo sempre lo stesso percorso. Contro la possibilità che un bambino non riesca mai ad uscire dal gioco, la simulazione qui è seria: “essere testimoni del reale vuol dire essere giocati dal gioco. Smontare le regole e supporre nuove regole sarebbe l’obiettivo di tutta l’umanità”. Se non si riesce in questo compito secondo l’artista non si riescono a formulare nuove ipotesi sulla propria coscienza. E’ un lavoro sulle illusioni e disillusioni, dove il treno è simbolo di lontananza e incontri. Come dire che se la modernità è la condizione naturale del mondo in cui viviamo da un secolo a questa parte, i suoi progressi non sono scanditi dalle brusche accelerazioni dell’avanguardia, ma dall’evoluzione costante che stratifica vecchio e nuovo. Il gioco, cancellando e inglobando il preesistente, si condensa in un presente che, quando riesce al meglio, è luminoso, gioioso, pronto ad una partecipata passione creativa: senza sbarramenti.
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