VOLTARTE
Doveva succedere prima o poi. Era inevitabile. Un grande laboratorio di energie e di risorse nascoste del mondo artistico e culturale, quello di Volta Mantovana, finalmente si fa vetrina. Si fa sentire, vedere, toccare e soprattutto “sperimentare”. Non è una novità che Volta si metta alla prova con i suoi protagonisti (numerosi e attenti) per farsi notare come forza attiva sul territorio locale e nazionale. Ma questa “volta” (e il gioco di parole cade a pennello) musicisti, artisti, comici, intellettuali e operatori culturali, insieme a enti organizzatori storici e più recenti, hanno osato di più: un festival vero e proprio. E se Mantova è la “città dei festival”, Volta è il “luogo del suo festival”. E non è un caso che l’edizione numero uno “non esista”, ma esista invece l’edizione “A” (la prima provocatoria e significativa lettera dell’alfabeto) ; e non è nemmeno un caso che il titolo scelto per la stessa sia PRIVI D’ORIGINE (come afferma il filosofo Luca Cremonesi, VoltArte è “privo d’origine” perché un festival artistico – dove non si tratta di comuni aggettivi da mettere in mostra, ma di far esprimere soggetti – non può avere origini). Ente ispiratore del festival il centro culturale e musicale Barbara di Brandeburgo, già nota sul territorio per le significative iniziative culturali, che grazie al supporto dell’amministrazione comunale e alla collaborazione della Proloco Voltese (ente co-organizzatore degli eventi) hanno messo a punto il programma coinvolgendo alcune delle realtà più rappresentative di Volta. Ad aprire il festival, venerdì 14 luglio un doveroso omaggio a Mozart con Cristiano Burato (dal “Teatro alla Scala” a Volta Mantovana) e Luca Schieppati – un concerto a quattro mani per due pianoforti – con la partecipazione straordinaria della mezzosoprano estone Külli Tomingas. Sabato, dalle sonate mozartiane elevate al quadrato, alla mostra dei “mostri di pittura” di Vittorio Bustaffa, Paride Gorgi, Martino Munarini, Pierluigi Ongarato, Carlo Vighi. Una collettiva “personale” di un gruppo di artisti che il curatore Cremonesi ha definito “percorsi e incontri con visioni e immagini che si mostrano come infinite tracce di sentieri artistici”. Ma se l’intento programmatico è quello di collegare l’incollegabile ecco che la musica ritorna durante tutta la seconda giornata, dalla fisarmonicista Eleonora Tomassetti (vice campionessa mondiale di fisarmonica) al laboratorio di “versi emotivi” curato personalmente dal cantautore Luca Bonaffini (direttore artistico di VoltArte festival), dove giovani cantastorie ancora non famosi racconteranno con musica e parole le loro canzoni. Un pomeriggio che vede protagonisti anche i giovanissimi, con il teatro ragazzi dei Gotturni con la rappresentazione Fata Tapparella alla ricerca di Pippi Calzelunghe. E alla sera sbarca a Volta Sergio Sgrilli, direttamente da Zelig, con L’ultimo dei Freak, tra teatro comico e canzone umoristica. Domenica 16, appuntamento con il fumetto raccontato in diretta dal gruppo Playcomics e con la letteratura contemporanea della scrittrice Paola Oro, già conduttrice televisiva; previsto per fine giornata l’attesissimo appuntamento annuale dell’Accademia di Musica Moderna con il Concerto di fine stage estivo di Franco Rossi & friends. Il Festival riprende e si conclude il 22 e il 23 luglio con un doppio evento (in concomitanza con la Sagra di Santa Maria Maddalena): il sabato sera con lo spettacolo Sogni, speranze e realtà della scuola di arte/danza Ganxhe; la domenica ancora teatro comico con Giampiero Perone (L’ingegner Perone di “Quelli che il Calcio” - RAI DUE - 2005). La location scelta per il festival è Palazzo Gonzaga. Da scoprire, riscoprire nei suoi meravigliosi spazi dove la sperimentazione dei linguaggi dell’arte contemporanea, sposa le bellezze eterne della storia. Presentare un nuovo Festival, nell’epoca dei festival, non è cosa semplice. VoltArte nasce, dunque, necessariamente come una manifestazione che ha bisogno di un profilo concettuale ben definito. Arte, nell’epoca contemporanea, è concetto quanto mai problematico (ma nel corso della storia tutta la grande arte è sempre stata dalla parte del problema, e mai delle risposte) se ci atteniamo solo alle definizioni più comuni con cui siamo soliti descrivere la nostra epoca. L’Arte rischia – quotidianamente – di cedere alla provocazione e, allo stesso modo, di abbandonarsi all’autocelebrazione di sé. L’Arte, in ogni sua manifestazione, è espressione della volontà, del pensiero, della civiltà e dello spirito di un’epoca. Nell’epoca contemporanea la forma (il minimo comune denominatore di ogni espressione artistica) non è più una ‘semplice’ essenza da rimembrare, contemplare e riprodurre nelle svariate modulazioni della produzione artistica. La contemporaneità ci insegna che la forma è potente solo quando è in grado di esprimere l’identità – e cioè il suo essere una forma – e la sua genesi come continuo mutare per divenire esclusivamente quella forma. Le forme artistiche, dunque, non sono rivoluzionarie (in astronomia il movimento di rivoluzione è quello che permette ai pianeti di ritornare esattamente nel punto di partenza), ma metamorfiche e in perenne trasformazione. L’arte è rivoluzionaria, dunque, non quando riproduce clichè, ma quando si affida alla pro-vocazione. È una questione di lasciar esprimere – lasciar parlare, pro-vocare – le forme senza ridurle ad altro da ciò che sono: e cioè colore, linea, parola, suono, armonia, ecc… È un problema di creazione e non di riproduzione di un modello dato; è una questione di stile. L’Arte è, in estrema sintesi, la creazione e l’affermazione di uno stile unico e irripetibile e per questo motivo privo d’origine. L’Arte, pertanto, non ha un inizio perché è da sempre in perenne trasformazione. Scrive, a tal proposito, il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty: “Se nessuna pittura particolare porta a compimento la pittura, se nessuna opera d’arte è pienamente compiuta, allora ogni creazione cambia, altera, chiarisce, approfondisce, conferma, esalta, ricrea o crea in anticipo tutte le altre. Se le creazioni non sono un dato acquisito, non è solo perché passano, come tutte le cose, ma perché hanno pressoché tutta la loro vita dinnanzi a sé”.
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