VOLONTA’ DI TEATRO
INTERVISTA A PAOLA GIACOMETTI
Parliamo del tuo nuovo progetto.
Stiamo allestendo Molto rumore per nulla, di Shakespeare, a luglio, in piazza Ugo Dallò. All’interno delle manifestazioni di Castiglione per quest’estate. Non so ancora la data, so che sarà a luglio, ma il vero e proprio programma è in costruzione.
Perché proprio quella commedia di Shakespeare? C’è qualche motivo particolare?
In realtà era da un po’ che volevo affrontare Shakespeare, ma sentivo che il gruppo non era ancora maturo.
E’ un gruppo con il quale hai già lavorato anche in passato?
All’interno del gruppo ci sono ragazzi che hanno avuto altre esperienze con altre compagnie e altri che sono con me fin dall’inizio. Michele Colombo lavora con me da circa otto anni. Poi gente si è aggiunta nel corso degli anni e c’è persino chi debutterà proprio con questo lavoro. Anche questo è divertente: mescolare vari livelli stimola tutti quanti.
Da quanti anni operi a Castiglione con la tua compagnia teatrale?
La Cornucopia esiste dal ’96, e ha prodotto… non so quanti siano in realtà. Una quindicina credo. Dieci spettacoli veri e propri e se ci metti dentro anche le rappresentazioni occasionali, a Natale o simili, in cui si faceva del cabaret o qualche messa in scena particolare, ci arriviamo tranquillamente.
Sei stata tu a fondare questa compagnia?
Sì, io con Lalla Filippini. L’ho incontrata poco tempo fa in treno, lavora a Padova, anche lei professionista come me. Del gruppo originario, tre su quattro sono diventati attori professionisti. Questo significa che c’era una volontà molto forte di fare teatro, eravamo motivati, ne abbiamo fatto poi la nostra professione.
Ma tu non lavori solo a Castiglione.
Lavoro anche a Milano e a Verona. Attualmente sto lavorando presso l’Art-teatro, che fa spettacoli per ragazzi, ma non solo. Produce anche serali in tutta Italia. Sto facendo le repliche dei Promessi Sposi, con cui sono in giro già da qualche anno. Con Luisa Corsieri. Abbiamo debuttato da poco con Leonardo da Vinci sempre di Corsieri.
È una delle compagnie più vecchie di Milano, tra le prime o forse la prima che ha fatto teatro per ragazzi, nelle scuole e non.Ho iniziato a lavorare con Teresa Pomodoro che si è costruita questo spazio teatrale a Milano. Proprio di due settimane fa, tre serate per la festa della donna, sulle donne di potere. Poi collaboro con diverse altre compagnie. Ho lavorato con il teatro Litta, per la regia di Antonio Sixti ho fatto Calderon di Pasolini.
Calderon di Pasolini?
Un testo stupendo, davvero. È stato il mio primo lavoro importante ed è stato come se un cerchio si chiudesse. Perché, prima di iniziare con la mia compagnia, avevo iniziato a collaborare con un regista di Brescia che mi aveva offerto la parte da protagonista proprio in Calderon. Solo che sono sorti dei problemi proprio con questo regista e ho dovuto abbandonare. Ma mi era rimasto un po’ qua. Quando poi mi è stato offerta, a distanza di anni, la parte nel Calderon, mi sono detta: un segno del destino! Anche perché non è un testo che abbia avuto tante messe in scena. Anzi, è un testo difficile, di non facile fruizione, e le messe in scena si contano sulle dita di una mano.
Castiglione lo vedi ricettivo, sensibile alla cultura e in particolare al teatro?
Poco ricettivo. Non c’è nessuna volontà da parte dell’amministrazione di aiutare le iniziative, mentre vedo che sono molto ricettivi i castiglionesi. Per farti un esempio, ho fatto un annuncio sul giornale perché cercavo attori, anche su La Civetta, e mi hanno telefonato un sacco di persone. Ho dovuto dire di no a molti, con grande dispiacere perché a questo punto si potrebbero mettere in piedi due produzioni, però ovviamente non ce la fai. Mi devo sempre arrabattare perché, oltre a dare il mio contributo gratuitamente, devo trovare da sola i soldi per pagare le scenografie, i costumi. Vado avanti perché amo questo lavoro, ma un giorno o l’altro mi stuferò. A Verona, dove insegno teatro ai ragazzi, mi pagano, a Milano dove, oltre a insegnare recito, mi pagano, e proprio qua a Castiglione niente, non cacciano nemmeno un euro. Io ho riconoscimenti fuori Castiglione e non a Castiglione, e questa è una cosa che mi fa veramente arrabbiare. Sono proprio ottusi.
Ti sei sempre divisa tra testi di altri e testi tuoi.
Sì, in realtà sono partita con un testo mio perché a me piace molto anche scrivere. Mi piace un po’ tutto del teatro, scrivere, fare l’attrice, dirigere, progettare le scenografie e cucire i vestiti. Ho iniziato con i testi miei per un discorso di praticità: è difficile trovare, quando hai poche persone e di livello vario, un testo adatto. Sapevo che avevo determinati attori e quindi scrivevo la parte su misura per loro. I classici li ho affrontati in un secondo momento. Il primo è stato Pinocchio, ma siamo già intorno al 2000, non credo prima perché… vedi, ho qui la locandina, ma come al solito io non ci metto mai la data e questo è sbagliato col senno di poi, ma al momento, al momento di mettere in scena una nuova produzione, l’ultima cosa che mi interessa è sapere in che anno siamo. Poi è stata la volta della Locandiera, per arrivare, adesso, a Shakespeare.
Che mi dici della situazione italiana?
Tragica. Hanno tagliato i fondi, che già prima erano insufficienti, quindi chi faceva fatica adesso ha chiuso, ma più che questo la situazione è tragica per la drammaturgia. Qualsiasi programma teatrale che tu vedi nelle varie città, o province, sono sempre le stesse cose. Ma non perché non ci siano degli autori nuovi, ma non vengono considerati. È un po’ come in politica: i vecchi non mollano e i giovani non possono emergere. La stessa cosa avviene in teatro, ma non perché non mollano gli autori che ovviamente mollano per forza, sono morti, ma non c’è la volontà di chi fa teatro di dare spazio ai nuovi autori. Se tu proponi uno spettacolo che non ha o un autore famoso o un nome famoso in cartellone, nessuno te lo compra. È un rischio affrontare un testo nuovo, si rischia il flop.
Che te ne pare dei personaggi televisivi che fanno teatro?
La cosa più deprimente è proprio questa. Il teatro sta per essere contaminato dalla televisione. I personaggi che vediamo in televisione, che possono valere o meno, questo è soggettivo, non voglio esprimere giudizi, per avere un approfondimento del proprio mestiere e per aumentare il loro prestigio (il prezzo), decidono di fare teatro. È una cosa fatta con il principale scopo di salire di categoria. Il fatto è che questi individui si trovano tutte le porte aperte, chiaramente se c’è il nome famoso in cartellone, la gente è attirata. Un discorso di marketing. Questi ‘cani’ vengono a lavorare in teatro e chiaramente la qualità va a farsi friggere, non sanno nemmeno cosa vuol dire lavorare per il teatro. Quando io sento che un mio collega, validissimo, non ha preso la parte perché la sua parte è stata data a un deficiente che ha fatto il Grande Fratello… di questo passo il teatro si abbassa di livello e diventa come la televisione. Se pensi che già la televisione è di merda, ora anche il teatro sta diventando di merda, io mi chiedo: cosa farà la gente a quel punto?
E tornare a un teatro sotterraneo, autogestito, stile Living? Pensi che quei tempi siano tramontati nella memoria della gente?
La gente ci sarebbe anche, figurati, ma il problema è un altro. Tu, persona di teatro, che vuoi fare teatro, ti devi adattare a vivere ai margini della società, diventi un emarginato. Perché uno che vuol fare teatro deve diventare un emarginato? Questa è una scelta di vita molto forte, da predicatore nel deserto. Ma questo non è giusto, vuol dire relegare il teatro fuori dalla società. E questo è proprio quello che la società vuole: mettere al bando il teatro e la cultura in generale. Il teatro non si deve abbassare a questo.
Teatro e territorio?
Il teatro deve avere una vita propria.
Non può limitarsi a essere un teatro di ospitalità dove lo spettacolo che vedo qui, lo posso vedere, uguale preciso, anche a Palermo o a Brescia. Fatto da gente che, una volta preso i soldi, non gliene può fregare di meno. Il teatro deve offrire, deve dire. Pensa al nostro teatro che se ne sta bello chiuso per la maggior parte dell’anno e apre solo in occasione del grande evento. L’arte come la vita è una faccenda locale. Oggi si fa arte come gli hamburger, qui o a Pechino è sempre lo stesso prodotto, ma questa è la fine dell’arte. L’arte è nata dal territorio e se vuole avere qualche speranza deve trarre le sue energie ancora dal territorio.
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