I FURBETTI (3)
I CONTI IN TASCA DI LUPIN III


Nel nostro viaggio nel mondo dei furbi, un capitolo a parte merita la figura di Antonio Fazio, il cui operato va analizzato alla luce di elementi e fattori sicuramente di taglio internazionale rispetto ai suoi fidi “collaboratori” o “pedine”. Fazio si laurea in economia nel 1960 e viene assunto immediatamente all’ufficio studi della Banca d’Italia. La sua carriera accademica e di ricercatore è un continuo crescendo sino al 1982, quando viene nominato vicedirettore generale. Il passo successivo è la nomina a Governatore nel 1993, carica che deterrà sino alle dimissioni “volontarie” del 19 dicembre 2005. Se da accademico si è contraddistinto per le sue notevoli capacità (il primo modello econometrico dell’istituto, sviluppato nel 1963, porta la sua firma), diversamente è valutabile la sua opera come stratega del sistema finanziario e bancario italiano. Trovatosi ad operare in un contesto internazionale in forte trasformazione (svalutazione della lira, change over con l’euro, privatizzazione delle principali banche italiane), la sua impostazione umanistica-cristiano-cattolica, l’ha sicuramente portato a porre l’attenzione su alcuni elementi molto “sensibili” nella scelta delle alleanze. La caduta della lira aveva portato alla necessità di un profondo riordino (per altro molto parziale) del sistema economico italiano attraverso la privatizzazione delle partecipazioni dell’IRI; in particolare questo avvenne con la privatizzazione delle principali banche: l’operazione venne delineata sul panfilo della regina d’Inghilterra presenti le nostre massime autorità politiche (non quelle bancarie) e i rappresentanti delle principali istituzioni finanziarie mondiali (alcune di queste sono le banche che detengono partecipazioni di rilievo nel capitale dei nostri istituti e che sono espressione della cultura ebraica). Questa “svendita”, necessaria a salvarci da scenari anche peggiori, ha sicuramente messo in all’erta il regolatore e controllore del sistema bancario: e il motivo è più che lecito. Il capitale della banca centrale è detenuto in buona parte dalle banche stesse (il controllore che è posseduto dai controllati?!?): avere nel capitale tali istituti, indirettamente espone il nostro sistema a possibili ingerenze lobbistiche estere. Da qui il tentativo, condotto in prima persona, di ammodernare il sistema bancario nazionale tramite operazioni di aggregazione che avrebbe dovuto rispondere ad un disegno superiore, che in parte è stato ricostruito durante l’interrogatorio davanti ai magistrati di Roma per lo scandalo Antonveneta e del quale riferiremo nel prossimo numero.


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