PICCOLE CELEBRAZIONI DI UNA GRANDE CULTURA

di Giovanni Caiola / underdog1982@libero.it

Da sempre la musica sacra afroamericana (spiritual e gospel: analizzare le differenze che esistono fra i due stili porterebbe via l’intero spazio di questo giornale e quindi a malincuore mi astengo dal farlo) è caratterizzata da una certa ambiguità di fondo. Per farsene un’idea basta dare un ascolto alle due raccolte mandate nei negozi dalla Soul Jazz – benemerita casa discografica londinese alla quale si devono altre meraviglie, cito qui solamente l’indispensabile antologia di pop brasiliano Tropicália – e debitamente titolate Soul Gospel. All’interno troverete 38 brani (18 nel primo volume e 20 nel secondo) che, pur mantenendo tutte le caratteristiche della musica sacra, in più di un caso hanno sì a tema l’amore, ma d’un tipo che con lo spirituale ha poco a che spartire. Non c’è quindi da stupirsi se gente come Ray Charles o Sam Cooke venne accusata d’imbastardire la musica di dio (il religioso gospel) con quella del diavolo (il profano blues), perché in effetti questa unione portò alla nascita della musica soul: musica dell’anima in ogni sua possibile accezione. E molti dei protagonisti della musica soul venivano proprio dal gospel – lo stesso Sam Cooke, Aretha Franklin, Wilson Pickett, Al Green – così che quelle radici religiose hanno permeato da sempre e per sempre tutta la black music (abbondanti tracce se ne trovano nel funk, nella house e, sì signori miei, anche in rap ed hip-hop). Ma vale anche il contrario, perché pure chi non si è mai voluto allontanare dal gospel, ripudiando in toto la musica profana, come Mahalia Jackson, paga in certi brani debitucci profondi al blues. Di questi sublimi e multiformi incroci potrete godere ascoltando le due raccolte di cui vi ho parlato sopra, entrambe bellissime e fra le lacrime mi costringo dunque a sceglierne alcuni brani piuttosto che altri: dal primo volume una spumeggiante In Between Tears di Irma Thomas, la supersexy Let’s Get Together di Bobby Bland, quella Grandma’s Hands delle Marion Gaines Singers che profuma di funk, la Every Day Will Be Like A Holiday delle Sweet Inspirations di Cissy Houston madre di chi sapete, una Pastures Of Plenty di cui Odetta offre una rilettura intensissima (l’originale è di Woody Guthrie) e la dylaniana I Shall Be Released resa sublimemente liturgica da Marion Williams; dal secondo volume la mitica For What It’s Worth dei Buffalo Springfield rifatta con maestria dagli Staple Singers, una Since I’ve Been Born Again di Martha Bass che rockeggia con furore, l’irresistibile disco-funk Praise His Name delle Stovall Sisters, la solare We Should All Thank The Lord delle Lovers Of God, una Let Him Come In degli Howard Lemon Singers sulle cui note è impossibile non mettersi a ballare. Penso sia un’informazione scontata, ma a scanso di equivoci è meglio precisare fin da subito che la qualità delle voci che si ascoltano è uniformemente sovrannaturale. Detto questo non mi rimane che augurare un buon ascolto a coloro che avran voglia di fidarsi dei miei consigli.


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