CASTEL GOFFREDO

di Anna Casella Paltrinieri

Il dialogo tra maggioranza ed opposizione a Castel Goffredo è molto difficile. Molto più difficile, mi pare, che negli altri comuni del Mantovano, pur amministrati dal centro-destra. Recentemente la nostra Sindaca, in un suo intervento sulla Civetta, riferendosi ad un episodio che coinvolge ragazzi (alcuni evidentemente “figli d’arte”) e una festa elettorale della scorsa primavera, sembra voler dire che ciò dipende da una sostanziale disonestà di fondo della cosiddetta “sinistra” e dalla tendenza alla manipolazione. Sicuramente fa parte della tentazione l’arte di squalificare in termini morali l’avversario politico (e in ciò è probabile che destra e sinistra si assomiglino più di quanto vorrebbero). Non sono però convinta che questa sia la chiave di lettura più adeguata. Mi pare invece che oggi a Castel Goffredo, più che ragionare sulle ideologie che oppongono una parte della comunità all’altra, si debba ragionare sulla qualità della vita civile e sul modello culturale che vi è sottinteso. Espongo le mie argomentazioni partendo da lontano. Recentemente sono comparsi sul Corriere della Sera una serie di interventi sulla “questione settentrionale”. Posto che esiste un problema (evidenziato alquanto chiaramente nelle ultime elezioni amministrative e nel referendum) di una sostanziale diversità di “cultura” e di società tra il Nordest dell’Italia, quel Lombardo-veneto che una parte della Lega vorrebbe restaurare, e il resto della Penisola (prescindiamo adesso dalle pur evidenti differenze regionali che comunque si individuano anche al centro-sud) gli articolisti ne ricavano le ragioni nella storia, specie economica, nelle tradizioni locali (e del resto Cattaneo, tanto caro ai leghisti, questo ci aveva già mostrato prima dell’Unità d’Italia) e in una particolare configurazione culturale che, opportunamente riletta in chiave politica, fonda progetti di separazione e di rivendicazione. Di questo “spirito”, probabilmente, si sente interprete la nostra Amministrazione di centro-destra e su questo poggia la sua richiesta di consenso e anche (non è certo il caso di negarlo) il suo successo elettorale. Ed è su questo terreno che si gioca il confronto. Perché se è vero (almeno questo è il mio parere) che la minoranza non può trascurare un dato culturale di tale portata, è altrettanto vero che la presunzione della maggioranza di interpretare “tutte” le istanze della collettività in senso etico, risulta davvero inaccettabile e francamente ingenua. Ho scritto che il termine del confronto è la qualità della vita civile a Castel Goffredo. Abbandono perciò i riferimenti al macro-contesto per ragionare sulla nostra comunità. Del “modello culturale” del Nordest, Castel Goffredo ha molti tratti: una vivace imprenditoria economica, sostenuta dalla idea (vagamente calvinista e vetero-testamentaria) che il successo economico sia l’aspetto visibile della benedizione divina e quindi, della propria moralità; la sostanziale frattura tra mondo politico, al quale si riserva poca fiducia, e mondo civile (ben esemplificata nel fiorire di attività di volontariato, caritative, di servizio ed economiche); un cattolicesimo molto radicato, popolare, a tratti anti-moderno, poco aperto a dimensioni sociali o di critica dell’esistente; un riferimento costante ad una scala di valori che si giocano più sul versante personale e intimistico che su quello comunitario e sociale; una certa tendenza a concepirsi, contro qualsiasi evidenza, come una comunità coesa sul piano sociale, morale e culturale e ad applicare nella vita civile le norme arcaiche del paternalismo. Derivano da ciò alcune conseguenze che, mi pare, sono davvero perniciose per la qualità della nostra convivenza. Ad esempio, se è vero che il volontariato è la ricchezza della nostra comunità, è altrettanto vero (e le recenti vicende ricordate anche dalla Sindaca lo dimostrano) che proprio perciò diventa l’arena della battaglia politica sia perché gli enti di volontariato (che siano laici o cattolici poco importa) offrono visibilità e legittimazione alle ambizioni politiche, sia perché l’etica malintesa del volontariato tende ad occultare, in nome della solidarietà, l’imperativo della giustizia. Perciò la neutralità politica invocata dalle varie istituzioni (non esclusa la Parrocchia che soffre al suo interno del travaglio di non saper tematizzare la questione del conflitto e della differenza, tra le altre) può solo parzialmente nascondere queste modalità di organizzazione della vita sociale e del consenso che, a loro volta, costituiscono l’ossatura della politica castellana. D’altro canto, Castel Goffredo soffre di un immobilismo che, mi pare, non abbia eguali nella realtà dell’Alto mantovano: basta vedere quanto poco siano cambiate le figure di riferimento dei vari schieramenti politici (non mi riferisco, si badi bene, a chi siede nei banchi del Consiglio Comunale, ma alle segreterie dei partiti di destra e di sinistra nelle quali le leadership sono le stesse da decenni). Ma, soprattutto, Castel Goffredo soffre di una mancanza cronica di “pensiero”. Temi ormai pressanti della post-modernità, come lo statuto del cittadino, la relazione tra le generazioni, lo sviluppo sostenibile, la qualità dei legami sociali, il futuro del modello economico… sono assenti in qualsiasi dibattito pubblico. Così il nostro paese, nonostante le trasformazioni socio-economiche degli ultimi tempi e nonostante l’ambíto titolo di città da poco raggiunto, continua a concepirsi come una comunità d’altri tempi, dove leadership, affari e vita civile non escono dal modello familiare e, come questo, corrono i rischi della amoralità. Di conseguenza, complice una certa mentalità degli ultimi tempi secondo la quale la società sarebbe una astrazione mentre esisterebbe solo il diritto dell’individuo e complice un benessere che si è consolidato e stratificato e che non invoglia certo a grandi cambiamenti, assistiamo ad una pratica politica spoglia di qualsiasi idealità che non sia quella “astorica e antiumanistica” di ripristinare un ordine moralistico fatto di disciplina, gerarchia e chiusura. E, in assenza di qualsiasi spazio “civico” (nel senso di spazio nel quale discutere, nel quale prefigurare un futuro, come ci ha ricordato H. Arendt), nel nostro paese l’opinione si forma molto spesso mediante i canali del pettegolezzo e della chiacchiera da strada e resta ancorata al semplice fatto (che in sé, come ben affermava Nietzsche, è “stupido”), all’esistente, al puro esercizio del potere, mentre non costruisce pensiero e progetto su emergenze che ormai non si possono più nascondere: il deterioramento dei rapporti interpersonali, il disagio giovanile e la devianza, la povertà e la disuguaglianza… Ammetto, ho calcato i toni e chi vorrà ritrovare in questo ritratto a tinte forti dei motivi di polemica non faticherà molto. Ma, poiché questo non è il migliore dei mondi possibili, e poiché molti dei cittadini di Castel Goffredo non sono disposti a farsi raccontare che lo sia, la sfida è trovare energie e spazi per un pensiero diverso, non polemico ma (questo sì!) dialettico.


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