LE ULTIME TRACCE DI LUCIO BATTISTI (1)
Nel 1980, in seguito alla pubblicazione dell’album Una Giornata Uggiosa, si scioglie una delle coppie più feconde della canzone italiana: s’interrompe per sempre il sodalizio Battisti – Mogol. Per gran parte del pubblico e della critica musicale, tutto quello che il musicista e cantante di Poggio Bustone ha in seguito realizzato non riuscirebbe nemmeno ad avvicinare le vette creative di quel periodo d’oro. Testardo come sono, ho deciso di controllare di persona la bontà o l’inconsistenza di quegli ultimi sei dischi di Battisti ormai quasi dimenticati, e di realizzare poi una retrospettiva a cadenza irregolare di cui questa è la prima puntata.
Per più di due anni, dopo l’uscita di quell’ultimo disco con Mogol, il Nostro rimane in completo silenzio, per ritornare alla ribalta nel settembre del 1982 con E Già. Può persino apparire scontato, ma la prima cosa che attira l’attenzione è il nome dell’autore dei testi: Velezia. L’enigmatico soggetto che si cela sotto questo strano pseudonimo non è altro che Grazia Letizia Veronese, la moglie cioè dello stesso Lucio; e i testi risultano oltremodo lontani dalla poetica propria di Mogol, densi di ‘piccolezze’ quotidiane così come di sentimenti grandi quanto la vita (pare comunque che Battisti abbia contribuito notevolmente alla scrittura delle liriche, che rivelano infatti tratti autobiografici). Ma a sconcertare più di ogni altra cosa è la musica che questo disco sprigiona: elettronica glaciale e rarefatta che rifugge inutili barocchismi, ma che si tiene comunque ben lontana pure dal minimalismo. Riccardo Bertoncelli parla di “elettronico-pop con classe” e “Battisti in fibra di carbonio e microchip”(entrambe le citazioni sono rintracciabili nello splendido libro Paesaggi Immaginari, edito dalla Giunti). Ma più di ogni discorso vale forse a questo proposito la foto presente nel libretto interno del disco, una spiaggia dai colori ultraterreni che pare non essere toccata dalla vigliaccheria del tempo. Tra i dodici brani del disco si imprimono nella memoria soprattutto quelli che – cantati in inglese – potrebbero facilmente essere spacciati per raffinati prodotti della all’incirca coeva new-wave inglese, con le loro atmosfere sognanti e dolcemente metalliche: la sbarazzina proclamazione di divertimento di Windsurf Windsurf, il cauto ottimismo in salsa pop di Non Sei Più Solo, la disarmante raffinatezza di Straniero, la dichiarazione d’influenze di Registrazione, la lunare e lunatica Una Montagna, la conclusiva ed irresistibile E Già. Il disco all’uscita fa il programmato botto (il nome vende più del contenuto!), raggiungendo il primo posto in classifica, ma in breve, anche per colpa della critica, su di esso cala una patina di oblio che ancora perdura, tant’è che nelle retrospettive “ufficiali” quasi non viene nominato. Cattiva stampa che questo disco non merita assolutamente, anzi forse è giunto il momento propizio per una riscoperta. Il mio consiglio è di effettuarla al più presto. Buon ascolto!
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