LIBANO E TERRITORI OCCUPATI
SE IL NEMICO DIVENTA UNA MINACCIA
Tra retorica militarista e spettacolarizzazione televisiva (ma era proprio necessaria la diretta tv?) i caschi blu italiani sono dunque sbarcati in Libano in base al mandato di peacekiping dell’Onu alla Forza Internazionale di Interposizione. Nessuno nasconde le difficoltà e le incognite dell’operazione, il cui esito positivo non dipende solo dal comportamento delle forze in campo – anche se è stato un grave errore aver escluso i civili dalla missione –, ma soprattutto dalla reale volontà politica, da parte dei vari soggetti interessati, di cercare una soluzione alla crisi del Medio Oriente. Il buon esito dipende dunque, da un lato, da Stati Uniti e Israele, dall’altro da Iran ed Hezbollah, mentre i paesi arabi moderati hanno perduto man mano tutta l’influenza politica che erano riusciti ad esprimere fino agli accordi di Camp David del 1978. In questa situazione l’Italia e l’Europa possono svolgere un ruolo importante, direi decisivo, per tentare di riportare la pace in Medio Oriente. Ma questo obiettivo può essere raggiunto, a mio giudizio, solo promuovendo una decisa inversione di marcia rispetto all’ideologia dominante, su scala globale, della guerra permanente, e ripristinando il rispetto delle regole del diritto internazionale. Dopo l’11 settembre del 2001 anche in Israele, come negli Stati Uniti, hanno avuto il sopravvento la teoria dello scontro di civiltà e la retorica manichea della guerra al terrorismo che hanno favorito la diffusione di un senso di generale insicurezza. Si è così affermata quella mistica della potenza (come l’ha definita Moni Ovadia) che ha generato tanta arroganza e tanta violenza. Gli “eccessi” e il cosiddetto uso sproporzionato della forza del governo israeliano non sono quindi errori politici, ma la logica conseguenza di uno stato d’animo e di una cultura politica che, come spiega l’analista politico israeliano Michel Warschawski, “hanno spinto Israele a un cambiamento qualitativo: da nemici che erano, i palestinesi si sono trasformati in minaccia. E una minaccia non è più identificabile in un contenzioso concreto e in un nemico concreto, incombe e basta, e ci si deve difendere. C’è una civiltà minacciata dai barbari, Israele è l’avamposto della civilizzazione nel cuore del mondo arabo, l’ultimo baluardo in seno alla barbarie, e occorre difendersi”. Solo che la difesa dai “barbari” avviene dispiegando nuova barbarie.
Amnesty International ha documentato, in un suo rapporto, come Israele abbia portato avanti “una politica di deliberata distruzione delle infrastrutture civili libanesi” e che “molte delle violazioni identificate nel rapporto costituiscono crimini di guerra”. Il rapporto contiene prove di “distruzioni di massa di interi insediamenti civili e villaggi, attacchi contro ponti in zone prive di alcuna apparente importanza strategica, attacchi a centrali di pompaggio dell’acqua, impianti per il trattamento delle acque e supermercati, nonostante sia proibito prendere di mira obiettivi indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile”. In questo rapporto si afferma inoltre che “la distruzione delle infrastrutture civili era un obiettivo della campagna militare di Israele per spingere il governo e la popolazione civile libanese a ribellarsi contro Hezbollah”. Non a caso l’esercito israeliano ha preso di mira l’intero sistema radio televisivo libanese, distruggendo ripetitori e stazioni radiofoniche e televisive, riuscendo a mandare in onda propri comunicati per incitare la popolazione alla rivolta. Un altro capitolo riprovevole della guerra al Libano è rappresentato dall’utilizzo delle famigerate bombe a grappolo (cluster bomb), micidiali ordigni a frammentazione il cui impiego è stato definito immorale dai funzionari dell’Onu. Lo stesso Kofi Annan ha condannato duramente l’utilizzo di queste bombe nelle zone abitate, mentre Israele le aveva acquistate dagli americani con il vincolo di usarle solo contro obiettivi militari ed eserciti regolari. Ora ce ne sono circa 100 mila, inesplose, che sono diventate vere e proprie mine antiuomo. Gli effetti dei bombardamenti israeliani in Libano sono devastanti. Bernard Kouchner, fondatore di Medici senza frontiere, è rimasto sconvolto: “I villaggi del sud sono stati rasi al suolo, come fosse passata una bomba atomica”. Alla fine si contano oltre mille civili morti e tremila feriti, con danni per miliardi di dollari, l’economia libanese completamente distrutta e tutt’ora sottoposta a embargo da parte di Israele, oltre 120 chilometri di coste inquinate dall’olio combustibile liberato da una centrale elettrica distrutta dai bombardamenti e tre milioni di persone in pericolo per le sue esalazioni cancerogene… E poi c’è sempre il rischio di contaminazione tossica da uranio impoverito.
Non bisogna poi dimenticare il dramma di Gaza, che l’occupazione israeliana ha trasformato in un’immensa prigione, costringendo un milione e mezzo di palestinesi a vivere, in un fazzoletto di terra, in condizioni sempre più disperate, sotto le bombe e con l’incubo delle rappresaglie, che sono già state condannate dall’Onu come crimini di guerra. Israele, inoltre, con il rapimento e l’arresto di ministri e parlamentari palestinesi, si è resa responsabile di un atto gravissimo, che viola tutte le norme del diritto internazionale. Secondo i canoni dell’Onu, il comportamento di Israele in Libano e nei territori occupati è terrorismo. Se consideriamo che Israele è responsabile del mancato rispetto di oltre 70 risoluzioni dell’Onu, dal 1952 ad oggi, e che ciò ha contribuito in modo decisivo a bloccare la costituzione di uno stato palestinese, come previsto dalle Nazioni Unite, ci rendiamo conto che, se è giusto pretendere il disarmo di Hezbollah deciso dalle Nazioni Unite, a maggior ragione occorre agire con intransigenza nei confronti di Israele. Ma c’è sempre la spada di Damocle dell’antisemitismo, sotto cui viene fatta rientrare ogni critica alla politica di Israele. L’Europa potrebbe, a questo punto, convocare subito una Conferenza di pace sul Medio Oriente con un duplice obiettivo: garantire la sicurezza di Israele e risolvere il problema palestinese partendo dalle risoluzioni dell’Onu.
GLOSSARIO
Peacekeeping: “mantenimento della pace”
Peacemaking: “fare la pace”. Intervento di mediazione che viene messo in atto prima che una guerra esploda
Peacebuilding: “costruzione della pace”. Quando la guerra è finita e si comincia la ricostruzione
Peace enforcing: “imposizione della pace”, anche con la forza, anche contro la volontà delle parti in conflitto
SITI INTERNET
www.amnesty.it
www.comedonchisciotte.net
www.disinformazione.it
www.megachip.info
www.misteriditalia.it
www.peacelink.it
www.peacereporter.net
www.warnews.it
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