PAOLO CONTI E L’INQUIETUDINE MATERICA

di Fabrizio migliorati

L’instancabile attività espositiva della Torre Civica di Medole ha offerto, dal 10 luglio al 6 agosto, la personale di Paolo Conti, artista monteclarense di inclinazione informale. Sacco, Lacerto, Ciò che è rimasto, Ceneri: i titoli dei suoi lavori dichiarano l’attenzione per tutto ciò che rimane dopo un passaggio distruttivo, come se l’Attila di turno si prendesse la briga di passare da queste parti. La tavolozza pastosa, cupa, acida sembra aliena; l’altissima densità degli oggetti non è di questo mondo: sono troppo pesanti per essere portati da uomini. La pesantezza delle paste rispecchia l’estrema difficoltà di lettura dell’opera di Conti. Seguendo la dimensione cromatica, possiamo leggere i vari sviluppi della sua poetica, fino ad arrivare ad un ciclo del 2006 che vede nel rosso il colore totalizzante. Un blob che inonda le composizioni innalzando il gradiente sanguigno. Nella teoria dei quattro umori, è il rompersi dell’armonia che determina il temperamento dell’uomo: qui, l’abbondanza del sangue, segna il destino caratteriale dell’uomo. Oppure l’orrore di una cascata simil-Shining tocca le corde delle nostre paure rendendoci pavidi e sempre pronti alla fuga. Siamo di fronte a una natura snaturata, violentata, resa irriconoscibile e, quindi, nuova e catalizzatrice di energie vitali. Nella materia che si sfalda sotto i nostri occhi è comunque presente l’afflato mondano, la voglia di relazionarsi con le cose del mondo, gli oggetti, gli animali, le siepi. Ma Conti ha un debole per un oggetto particolare: il sacco. Il sacco materico di memoria informale incontra quello intrauterino del periodo di gestazione. I sacchi si presentano come accumuli magmatici coagulati al centro delle composizioni dibattuti tra la forza centripeta voluta dall’artista e quella centrifuga sprigionata dalla materia inquieta. Equilibrio si, ma precario. L’autopsia del sacco permette l’uscita di miasmi materici, veleni pericolosi che vengono estirpati solo con l’aiuto di questo “medico legale artistico”. Da questa sala di dissezioni escono strane forme e noi, troppo occidentali per poter penetrare in profondità, riconduciamo quelle macchie a qualcosa di conosciuto, e vediamo novelli arlecchini o cavalieri con relativi destrieri pronti per un duello all’ultimo sangue. Altre volte da questi sacchi Conti pesca storie meravigliose, oggetti inaspettati come sa fare un abile mago con il suo cappello magico.Ma i vertici espressivi vengono toccati nel ciclo delle Maschere. La potenza espressiva si sfoga in accumuli che ricordano le disperate teste di Manai oppure sfilate di terribili quanto fantasiosi carnevali di Venezia. Un ballo in maschera in diretta dall’inferno. Questa galleria di volti torvi, inquietanti diviene tunnel, un tunnel asfissiante e claustrofobico, dominato da mezzibusti deformati dalla malattia. Ci guardano, ci ammoniscono ma non ci assalgono. La morte li ha fissati in quell’espressione. Non c’è salvezza. Tutto ciò che rimane sono le ceneri


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