MOSTRI DI PITTURA A VOLTA MANTOVANA

di Fabrizio Migliorati

Nel ricco programma del Festival VoltArte, che ha avuto luogo dal 14 al 16 luglio a Volta Mantovana, emergeva un’esposizione d’arte intitolata Mostri di pittura curata da Luca Cremonesi. Il curioso titolo gioca sul termine mostra e sulla serie di significati che si ottengono declinandolo secondo le polarità femminile-maschile e singolare-plurale. Il mostro, orribile creatura esageratamente chiamata in causa da una certa letteratura e da un certo cinema, si mostra, si fa vedere, ed è solo in relazione con l’altro che si conosce per ciò che è. Ostensione ed identificazione. Da ciò nasce il pensiero e, quindi, il dialogo. È questo il punto focale della mostra testimoniato dalla mescolanza dei vari autori nelle cinque stanze dell’allestimento, che si oppone fermamente al criterio monografico. Siamo in una dimensione di forte collegialità, dove l’individualità c’è senza esaltazione autocratica. La discussione viene imposta e i risultati sono straordinariamente proficui. Di Carlo Vighi sono stati esposti tre lavori, eseguiti a grafite, che ritraggono momenti quotidiani, intimi, minimi. Sono persone comuni colte al naturale, quando si esplica la vera personalità del singolo. Il segno preciso, minuzioso sfiora un operare certosino, come un asceta dedito alla perfetta rappresentazione. Pierluigi Ongarato crea composizioni di forte patenza emotiva, resa più drammatica dalla bicromia rosso-nera. Personaggi storici e mitologici sono fissati in infernali visioni da girone dantesco, dove la carne si unisce al fuoco generando dolore, condanna, fine. Martino Munarini annega le sue figure in una dimensione unificante quanto inquietante. Nella più totale oscurità, si palesano dei corpi emaciati di un non troppo rassicurante color verdastro. Salomè, San Francesco, Cristo indossano abiti moderni sui quali vengono calate stoffe preziose e antiche, direttamente prelevate dalla storia dell’arte. La ricerca di Vittorio Bustaffa è imperniata su di un segno più visibile, marcato e angosciante. Parole, oggetti, presenze difficilmente riconoscibili si fondono e confondono in un coacervo segnico da quale emerge una figura combattuta tra il desiderio di darsi a vedere e quella di nascondersi, causa una difficoltà di relazionarsi con l’altro. Con l’ingrandirsi della superficie visiva, il pastello si muta in pennellata forte e volutamente imprecisa. Ma tutto è controllato, tenuto a bada senza che la poiesi sfoci in esiti informali. La sua ricerca vede lo sfociarsi in macchie catramose, carte rovinate dall’umidità dove – secondo la lezione di Leonardo – dobbiamo ritrovare forme antropomorfe. Questa splendida cinquina viene chiusa da Paride Gorgi, sognatore di mondi lontani abitati da strane presenze circolari e spiraliformi. La flora e la fauna si presentano misteriche, celano il dubbio, l’alterità sconosciuta: siamo in una dimensione altra di cui non conosciamo nulla e dall’onirica bellezza superficiale possono sgorgare sfoghi teratologici.


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