I LIBRI DELLA CIVETTA

di Fabio Alessandria


POSTUMO IN VITA

Gianni Clerici
Edizioni Sartorio
euro 11

La vita di Gianni Clerici è qualcosa di incredibile perfino per chi, come il sottoscritto, adora raccontare storie e romanzarle. Oggi il Gianni, “di famiglia aristocratica comacina dai tempi di Odorico II”, dopo essere stato, vado alla rinfusa, staffetta partigiana, tennista enfant prodige e primo italiano a giocare a Wimbledon, laureato in Storia delle Religioni, avvocato, monaco buddista mancato per un pelo, commediografo raffinatissimo, romanziere di successo, playboy con la Ferrari in giro per Londra e la Costa Azzurra, unico giornalista sportivo sul livello del Maestro Brera, introdotto recentemente nel Gotha del tennis come autore del saggio più importante mai scritto sulla disciplina e la sua storia (500 anni di Tennis), commentatore televisivo, ha rivelato, pochi mesi fa, la sua vera natura: quella di poeta. È uscito a fine 2005 il suo primo volume di versificazioni, dopo una meditazione lunga sessant’anni. Comincia a scrivere versi giovanissimo e, nel corso degli anni, tanti amici famosi (Bassani, Raboni e Soldati tra gli altri) cercano di convincerlo a pubblicare le sue poesie. Ma non è mai il momento giusto. Adesso questa raccolta c’è ed ha il titolo significativo di Postumo in Vita, perché, parole dell’autore, “è stata pensata e scritta a memoria futura di qualche amico”. Il contenuto è quanto di più vario possa esistere: il mistero delle piccole cose, nel solco di una certa linea intimistica lombarda (Maria Corti definì il suo stile indecifrabile come lombardese), ma anche meditazioni sulla vita, lo sport, il cancro, la religione. Scrive in Sporting Life:  “Destinato per nascita/ alla squadra cattolica/ prestato ai Sufi grazie/ a un angelo custode/ riserva degli Agnostici/ a fine di carriera/ tifoso di Dei Agresti/ disseminati in India/ finalmente costretto/ da cuore e da ragione/ a tifare per Budda/ e infine solo/ anche perché/ disse un mio vecchio coach/ nel peccare e nel credere/ solo/ sarai tutto tuo”. Clerici fugge la parola precisa, scientifica, adora il verso libero, intervallato da rari settenari e qualche endecasillabo; aleggia, in ogni rigo, in ogni rima, in ogni singola parola, la tensione verso il mistero, lo sforzo costante alla ricerca della Bellezza. “Ascolto il mio respiro/ ripenso alla mia vita/ fallita/ Ma ci vuole pazienza/ Almeno la bellezza/ l’ho capita”. È un approccio morbido, vago, sfocato e lo sguardo poetico non è esente da un afflato mistico: “Se la terra avvilisce/ diceva il mio maestro/ solleva gli occhi al cielo”. Poesie meravigliose che hanno, secondo Giovanni Raboni: “una sorta di ansiosa fermezza, di sfuocata precisione, che è, ai miei occhi, una qualità rara, se è vero che la poesia, e solo la poesia, ha la possibilità di testimoniare, insieme, la necessità e l’impossibilità di dire ciò che si sta dicendo”. Tutto verissimo. Preferiamo tuttavia accodarci all’ammirazione di un Mario Soldati in gran spolvero, che chiosava in questo modo le liriche dell’amico bauscia: “Hanno un solo difetto, era solito dire, sono meravigliose ma si capiscono benissimo”. Nel nostro nulla poetico attuale c’è una voce limpida e solitaria.


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