OPIFICIO D’ARTE DARRA L’UMANO E L’ANCESTRALE

di Fabrizio Migliorati

Fino al 7 gennaio presso la Torre Civica di Medole è aperta un’esposizione dei lavori di Riccardo e Raffaele Darra, padre e figlio cavrianesi, che qui si confrontano e scontrano su di un terreno comune: il vetro. Al piano terra si svolge l’indagine di Raffaele, incentrata sul volto umano, esplorato con elegante realismo nei lavori che pescano nel jet-set internazionale, sfigurato, arso, plasmato fino a far perdere i connotati umani in quelli più anonimi. Rimane la denotazione, la dichiarazione d’appartenenza all’universo umano. O forse è meglio dire umanoide. La mancanza di occhi e bocche materializza i nostri peggiori incubi. Da candide basi bianche spuntano mostri, figure aliene inquietanti che sembrano guardarci e giudicarci: una silenziosa condanna risuona nella sala. Queste maschere, disseminate per la sala in un percorso ad inferos, sembrano presentarci le loro generalità, come per assicurarci le loro buone intenzioni: ma il loro potenziale è altissimo. E rischiosissimo. Il vetro le rende fragili, le forme pericolose. Concetto basilare che percorre la sua ricerca è quello di serie. Serie come concetto minimalista, della ripetizione continua, iterata attraverso il quale si può giungere alla differenza. I suoi lavori presentano una galleria di volti (più vicina ad un regesto di criminali che ai polittici medievali) spersonalizzati e proposti in una dimensione democratica, senza gerarchie, ma fortemente svilente: l’uomo non è più uomo ma carne abrasa e raccapricciante. Salendo al secondo piano ci si accorge immediatamente di una forte cesura. Da un giovane sperimentatore passiamo ad un maestro di ferrea tradizione musiva. Entriamo in una foresta cristallizzata, popolata di totem arcaici vivificati dall’estrema liricità dei colori. In queste sacre lastre campeggiano strani intrecci coloristici che potrebbero essere tutto: sezioni di cellule, scansioni geologiche, garbugli filamentosi, parvenze biomorfiche, forme vegetali-organiche. Le luci soffuse sullo sfondo donano alla sala un altissimo gradiente misterico. Passeggiando in questa natura artificiale, prendiamo coscienza della nostra limitatezza: siamo di fronte ad un linguaggio sconosciuto, e necessitiamo di una Stele di Rosetta che ci permetta la decriptazione dei reperti. Non siamo più di fronte ad un’installazione laica, ma nel bel mezzo di un recinto sacro, un inno alla vivacità delle differenze, alla natura nella sua multiforme varietà. Nascosta tra la vegetazione, poggiata per terra, campeggia una forma circolare: un albero sezionato al fine di permettere uno studio delle sue interiora. Giunti al termine di questo percorso, occlusa dagli arbusti, troviamo un cerchio vitreo accostato alla parete, medievale sintesi dell’universo, del mondo umano e di un dio creatore (quale non ci è dato sapere). Darra senior si pone di riverginare il mondo attraverso l’artificialità dei materiali: un’arte povera (nel senso primigenio) che si fa arte ricca (nello spettacolo visivo). Un sublime contrasto tra la ieraticità monumentale delle singole presenze totemiche e il movimento interno ad esse (contrasto acuito dal silenzio arcaico della sala e dal dinamismo coloristico).


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