DIANE ARBUS

di Eliseo Barbàra

Le parole di Diane Arbus (1923-1971) e le sue fotografie dei “nostri mostri quotidiani” come li ha definiti il critico Claudio Marra, i freaks alla Tod Browning o gli “aristocratici” come preferiva chiamarli la fotografa, con le loro deformazioni naturali (giganti, nani, ermafroditi, malati di mente) o culturali (travestiti, nudisti, borghesi mascherati e lascivi) non svelano nessun segreto. Immagini dirette, frontali, crude, spesso impenetrabili e apparentemente impietose che rimangono senza univoche interpretazioni e che non sono scindibili dalla vita della stessa Arbus. Una vita tra ricchezza snob e povertà desolata, tra depressione cronica e libertà creativa, una vita che ha permesso l’espressione di un talento visivo che ha lasciato molti proseliti fino a oggi. Nessun segreto è neppure svelato nel film Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus firmato da Steven Shainberg esordiente qualche anno fa con il discusso Secretary, film che univa erotismo, morbosità e sadomasochismo. Nulla di tutto ciò nel nuovo film con una brava e fredda Nicole Kidman nelle vesti di una (im)probabile Diane Arbus, una fotografa che ha cambiato il percorso della fotografia americana contemporanea e che è entrata nell’albo dei miti, come spesso purtroppo accade, solo dopo essersi suicidata. Il film è liberamente tratto dal libro Diane Arbus. Vita e morte di un genio della fotografia (Rizzoli) di Patricia Bosworth, giornalista e co-produttrice della pellicola. Una biografia non eccellente con uno stile a volte noioso e con citazioni parziali e non sempre rilevanti. Il film di Shainberg si discosta dal libro: un cartello iniziale avverte dell’intenzione di proiettare lo spettatore in una irreale dimensione dove la Arbus, con i suoi incubi, la sua curiosità e la sua macchina fotografica, si possa immergere. Non vuole spiegare perché e come una donna fragile, apparentemente indifesa, cresciuta nell’alta borghesia newyorchese abbia potuto costruire rapporti di empatia con persone costrette a vivere nei bui e inavvicinabili luoghi ai margini della società. Come è possibile che due mondi paralleli si possano incontrare in questo modo tanto da fondersi? Il film, ma per certi aspetti anche il libro, oltre ad essere quasi melodrammatico in più punti, può sembrare di non facile lettura. L’assenza di fotografie realmente scattate da Diane Arbus (per diritti non concessi) rende impossibile far capire, a chi non conosca le sue foto, cosa la spingeva a ritrarre i suoi soggetti e come. Il come darebbe una prima risposta anche al perché. Invito tutti a vedere una mostra della Arbus appena dovesse giungere in Italia oppure di consultare i suoi libri (non esistono edizioni italiane e spesso sono cari) come An Aperture Monograph, Family Album o la retrospettiva Revelations. Dopodiché la visione del film Fur può sembrare più significativa. Ma sappiate che nessun segreto sarà svelato.


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