GLITTERHOUSE: IL SUONO DELLA FRONTIERA IN EUROPA

di Giovanni Caiola

Ormai da qualche tempo l’industria discografica sta attraversando una grave crisi economica, crisi che ha investito tanto le piccole case indipendenti quanto le potentissime multinazionali. Vista la situazione non può quindi che farmi piacere il fatto che la tedesca Glitterhouse abbia raggiunto, lo scorso anno, il ventesimo anno di vita e abbia deciso di celebrarlo con la pubblicazione di un cofanetto di 3 cd, messo in vendita per di più ad un prezzo convenientissimo. Nata nel 1984, in quel di Beverungen, per iniziativa del giovane Reinhard Holstein, la Glitterhouse ha avuto i primi momenti di gloria tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo. Quale sia stato il motivo di questa gloria è presto detto: i nostri amici tedeschi avevano stipulato un contratto di distribuzione europea con la statunitense Sub Pop! Come tutti sanno la Sub Pop è stata l’etichetta che ha diffuso nel mondo il verbo del grunge, e converrete col sottoscritto che gli introiti di questa operazione non devono essere stati niente male. Ma purtroppo la Glitterhouse di questi soldi ne ha visti ben pochi, essendosi gli americani accorti che il loro successo necessitava di canali di distribuzione ben più potenti di quelli che una minuscola casa potesse loro offrire. Sciolto quindi l’accordo, Holstein decide di mettersi in proprio ed inizia così a produrre band che suonano una musica profondamente americana, la musica delle radici americane. Quella della Glitterhouse diviene una vera e propria specializzazione, tanto che vari gruppi americani, con distribuzione precaria se non assente in patria, la eleggono a propria dimora artistica. Ed è proprio la musica di questi artisti che si ascolta nel triplo cd celebrativo Nevermind: Glitterhouse is 20, da poco disponibile nei negozi. I primi due dischetti contengono canzoni di gruppi e solisti che rappresentano l’attuale scena accasata alla Glitterhouse, mentre il terzo pesca fra i classici (minori ma nemmeno troppo) del passato. Date la quantità e la qualità della musica proposta, pesco quasi a caso e solo dai primi due dischi: sono irrinunciabili la Soft Hand dei Willard Grant Conspiracy che è delicata giostra pop-country, il trascinante rock alla Stones che Cary Hudson sciorina in Things Ain’t What They Used To Be, l’acquerello acustico di All That I Can Hold Near dei Dakota Suite, lo sballo chimico e carnale assieme che è LSD Is Dead di Hugo Race, l’alata cantilena folk a due voci di Call Me In, Piccard degli Ai Phoenix, la stilosa tradizione che i 16 Horsepower propongono in American Wheeze, la Electric Rain dei Midnight Choir per la quale i R.E.M. poco ispirati d’oggi ucciderebbero, la melodia alla Beatles distesa su chitarre ancora una volta alla Stones di No Shame dei Black Lipstick, la pigra gioia di vivere che Rainer riversa in Love Buys Love, la furia iconoclasta della Sonic Reducer dei Rocket From The Tombs.
Buon compleanno Glitterhouse!!!


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