I LIBRI DELLA CIVETTA
Madri Assassine
Adriana Pannitteri
Gaffi Editore
euro 10,00
Quante volte sentiamo parlare di figlicidio? Di madri che uccidono i loro bambini, li annegano o li soffocano? Se guardiamo la televisione pare che succeda sempre più spesso. E il motivo? Dicono sia la depressione o il raptus. Adriana Pannitteri, giornalista RAI, incontra in questo libro le donne rinchiuse all’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere perché hanno ucciso i loro figli. Non cerca lo scoop, i dettagli di storie agghiaccianti che fanno notizia, ma diventa testimone e custode delle confessioni che con coraggio e forza morale queste madri le raccontano. Le viene consentito di “vivere”con le pazienti tra le mura dell’ospedale, di parlare con loro anche del tempo “che qui d’inverno fa davvero brutto e freddo”. Nelle righe si legge la sua sincera volontà di entrare nel dramma di ciascuna senza giudicarla, il pensare e ripensare alle loro parole conservando dentro di sé la tragicità e la sofferenza. E così veniamo a conoscere chi sono Violetta, Simona, Manuela, Maria, Anna; scopriamo che non hanno un aspetto maligno, non sono cattive, anzi alcune di loro sembrano così fragili…Un libro sincero, autentico, senza patetismi e senza la pretesa di trovare la verità assoluta, ma che tenta di capire che cosa si nasconde dietro il figlicidio, un gesto apparentemente inspiegabile, che troppo spesso viene liquidato come follia. Ma chi è il folle? Molte di queste donne sembrano del tutto normali. Sappiamo che ci sono tracce di acqua sul pianeta Marte ma non c’è informazione sulle malattie mentali tranne i soliti luoghi comuni; perché non si parla di psicosi, di scompenso psicotico? Di fatto la “normalità” è spesso considerata in funzione degli altri, si stabilisce sulla base di una percentuale maggioritaria di comportamenti o punti di vista; diventerebbe invece più difficile discutere un aspetto soggettivo di normalità, non in rapporto agli altri ma alle realtà profonde di ciascuno di noi. Io ritengo, rifacendomi alla concezione del grande psicanalista francese J. Bergeret, che “Normale” è colui che resta adattato al suo ambiente, che porta con sé problemi e angosce e li sa gestire, sa giocare elasticamente con i suoi bisogni e desideri sul piano personale e sociale. Ognuno di noi è soggetto a disequilibri interni che possono anche essere segno di crescita e ognuno di noi è dotato di una varietà di difese più o meno mature per farvi fronte. La patologia sta nella mancanza di elasticità ed efficacia delle nostre difese. Quando il malessere con cui la persona convive diventa così disabilitante da superare i mezzi difensivi di cui dispone, abbiamo lo scompenso visibile, la malattia, la rottura degli equilibri precedenti. La malattia mentale non nasce all’improvviso eppure spesso non se ne colgono i segni. Nel suo libro la Pannitteri scrive che spesso è la solitudine, la mancanza d’appoggio, i periodi in cui il rapporto con la realtà e il proprio bambino si alterava, ad accomunare il passato delle pazienti dell’OPG; come afferma la psichiatra Annelore Homberg, che ha scritto la postfazione al libro, “assenza è forse la parola chiave che può aprire le porte a una ricerca che non ha bisogno di postulare malattie geneticamente determinate”. Per quelle donne che lentamente ce la fanno a comprendere, a non crearsi realtà sostitutive e si rendono conto di aver ucciso il proprio figlio, “svegliarsi dal black out significa rientrare nell’incubo”: sapere che hanno ucciso, sapere che erano malate. Tuttavia non dimentichiamo che la malattia mentale se individuata e affrontata per tempo può essere curata.
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