UNA, CENTO, MILLE IWO JIMA
Accennai a questa fotografia sul numero di aprile in un articolo intitolato “Fotografia Potere Sovversione Pensieri”. Adesso qualche parola in più va spesa soprattutto per due motivi. Il primo è la morte dell’autore dello scatto, Joe Rosenthal, spentosi all’età di 94 anni e, come secondo motivo, questa fotografia e la sua vicenda storica hanno ispirato il nuovo bel film di Clint Eastwood, Flags of Our Fathers. Brevemente. Dopo oltre un lungo e sanguinolento mese di guerra tra americani e giapponesi l’isola di Iwo Jima fu conquistata e sulla vetta del Monte Suribachi venne issato il drappo a stelle e strisce. Il momento storico fu immortalato da un certo Lou Lowery, ma il vero emblema dell’eroismo americano fu ripreso da Rosenthal in un secondo momento, quando si decise di sostituire la prima bandiera con una seconda. L’immagine fece il giro del mondo. Il fotografo vinse il Pulitzer. La popolazione statunitense vide nella fotografia la fierezza, l’orgoglio, la forza e l’unità di una nazione. La fotografia è stata spesso accompagnata con la scritta “Now All Together”. I sei soldati divennero gli Eroi: non importava se quegli uomini avessero alzato solo una pesante asta con attaccata una bandiera. Questa, come altre nel corso della storia, è la reale possibilità di come anche una fotografia possa far vincere o perdere una guerra. Clint Eastwood non ha raccontato episodi di eroismo o leggende di uomini comuni diventati eroi, è rimasto a livello umano (come ad altezza uomo sono le straordinarie scene dello sbarco sull’isola nipponica). Il regista ha raccontato storie di uomini non attaccati a una bandiera e a una nazione, ma ai loro compagni e a loro stessi. Gli eroi, in guerra, sembrano non esistere, esistono uomini che vedono morte e sofferenza colpire i propri compagni. Forse è proprio questo che li rende valorosi, loro malgrado. Invece, la fotografia di Iwo Jima è stata usata dal potere politico come espediente per cercare più favore nella popolazione ormai stanca della guerra. E l’obiettivo fu raggiunto. [Qualche anno dopo, con il Vietnam, la vicenda si capovolse quando fu pubblicata la foto del vietcong giustiziato in strada]. Iconograficamente la statua di Arturo Dazzi, intitolata “I Costruttori” del 1906-07 ora conservata alla Gnam di Roma, ricorda molto la nostra fotografia. Nella prima degli operai sono intenti a costruire un’abitazione ad uso sociale, nella seconda i soldati sono stati “obbligati” a inscenare la (ri)costruzione di un patriottismo di facciata che man mano sembrava andare scemando e che invece, dopo nemmeno le impietose foto-ricordo di Abu Ghraib, regna ancora sovrano. Il film può dare l’occasione di parlare di un certo tipo di manipolazione dell’uso dell’immagine da parte del potere, in questo caso quello politico-militare statunitense durante la II Guerra Mondiale, ma siamo ben consapevoli di come queste tecniche siano ancora oggi assai diffuse da qualsiasi tipo di potere. Non solo politico.
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