NORCINI
Tutto ha inizio in una mattina fredda e nebbiosa… Comincia così, con un incipit da favola o da storia dell’orrore, l’epopea di un solo giorno del norcino. E proprio tra favola e horror si colloca questo personaggio le cui origini si perdono nel passato rurale del nostro territorio; la figura cruciale della giornata dedicata alla macellazione del maiale. La tradizione di “fare” il maiale è tra le più radicate nella nostra zona; nonostante l’evoluzione avvenuta nell’attività agricola, quella di conciare il maiale rimane una pratica rigorosamente artigianale e quasi rituale, con un sapore arcaico che in gran parte deriva dalla mitica figura del masalì, il norcino, rappresentante di un’arte vecchia di secoli. A quest’arte e alla tradizione della “giornata del maiale” è dedicato un ottimo volume fotografico di Lorenzo Baccinelli: Norcini (così si intitola, semplicemente, il libro) racconta, con scatti in bianco e nero, la giornata del norcino, l’addetto al confezionamento del salame; figura destinata a scomparire o a vivere nell’illegalità – e per questo degna di massima simpatia e stima – a causa delle normative igienico-sanitarie italiane ed europee. Il libro di Baccinelli ha allora, oltre al valore artistico, il grande merito di serbare il ricordo di questa usanza; un viaggio non solo nell’immagine, ma anche nella memoria. Baccinelli, nato a Desenzano, fotografo professionista dal 1990, amico e collaboratore di Gian Butturini – vera icona nel mondo della fotografia – illustra, attraverso più di 50 immagini, i diversi momenti della giornata e le meticolose operazioni svolte dal norcino e dai contadini per ricavare ogni prezioso grammo di carne dall’animale. Dall’arrivo del masalì all’uccisione del maiale, dalla sua rasatura al momento clou dell’incisione dell’animale per estrarne le interiora, e via di seguito fino alla preparazione degli insaccati, ogni momento è documentato dalle immagini di uomini maturi al lavoro (“Il norcino non è mai giovane perché per fare il norcino bisogna conoscere il mondo intero”, recita il testo). Le donne fanno capolino qua e là, con compiti minori: fanno bollire l’acqua, spazzano il sangue, ma soprattutto mettono tutti a tavola per il fondamentale momento del ristoro. Quello del norcino è un mestiere da uomini, ma le donne avranno un ruolo importante nella fase finale, di confezionamento dei salami; tra i meriti del libro c’è anche quello di portare alla luce questo aspetto. I testi d’accompagnamento, scritti da Pierluigi Guainazzi, autore di Desenzano, raccontano le fasi del lavoro con un tono a metà tra la cronaca e la fiaba, dettagliato eppure avvolto in un’aura di magia; restituendo così, oltre alla fatica e alla passione che impegna questi uomini dall’alba al tramonto, anche e soprattutto il fascino di una performance destinata a durare un sol giorno. Una favola che affonda le sue radici nella terra e che non tralascia i particolari tecnici (a fine volume è presente anche un piccolo glossario dei termini usati). Il risultato complessivo è un racconto per immagini che rende molto bene la ritualità del lavoro e la grande esperienza richiesta dal mestiere di norcino: una vera e propria arte, di cui la fotografia cattura il sapore artigianale e la semplicità coniugata alla tecnica.
Nelle immagini si coglie anche l’atmosfera di partecipazione emotiva, la dimensione di collettività che rende questa giornata un momento unico. Abbiamo incontrato l’autore delle foto per parlare con lui di quest’opera.
Perché hai scelto di ritrarre il lavoro dei norcini?
È un mestiere e un rituale che mi ha sempre affascinato, fin da quand’ero ragazzo e assistevo alla giornata in cui si faceva il maiale. E non solo assistevo: mio padre era cuoco e grazie a lui avevo acquisito una certa dimestichezza col coltello, quindi partecipavo attivamente alle operazioni, non ero lì solo per guardare. È un lavoro faticoso e inoltre va eseguito velocemente, perciò risulta molto impegnativo. Per fortuna ci sono le pause per il ristoro che sono molto piacevoli: sono momenti speciali quanto quelli del lavoro, che contribuiscono a rendere l’atmosfera della giornata davvero unica. È giusto riconoscere che un tempo il maiale era davvero importante per la famiglia, procurava vero sostentamento: del maiale non si buttava davvero niente, tranne i peli e le unghie! Secondo me qualcosa è rimasto di quell’epoca nella tradizione di fare il maiale; c’è un sentimento arcaico che la fa vivere come qualcosa di fondamentale, di essenziale per la vita contadina. E oggi, come allora, alla fine della giornata, dopo il lavoro, regna un senso di grande soddisfazione.
Come hai realizzato questo volume?
Ho iniziato a fare le prime fotografie già 15 anni fa, quando partecipavo in prima persona alle giornate del maiale insieme a mio padre (che infatti compare in alcune immagini del libro). Poi, di recente, ho sentito il bisogno di portare a compimento l’opera, sentivo che era giusto farlo. Così, ho scattato altre foto che insieme a quelle vecchie hanno realizzato il percorso del libro com’è ora.
Cosa significa per te fotografare il lavoro?
Credo che l’importante sia sapere bene cosa si sta cercando, quale obiettivo porsi. Fotografare un mestiere non è semplice, perché il mondo del lavoro è complicato, e lo diventa sempre di più. Viviamo in una società in cui siamo bombardati dai messaggi più disparati; si rischia spesso che il messaggio forte che un lavoro può veicolare si confonda con quelli circostanti, e finisca per non aver più nulla da dire. Oppure può accadere che risulti obsoleto in un mondo come il nostro in continuo mutamento. Un mestiere basato su antiche tradizioni, sul saper fare, rischia di sembrare “vecchio” ora che tutto è molto più concettuale e astratto. Se le persone fanno fatica a comprenderlo, preferiscono lasciar perdere; perché non hanno il tempo e soprattutto la voglia di fare fatica.
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