STORIE DI FIUME
Se prova a dare uno sguardo al progetto Gramelot Ensemble nella sua interezza, dal suo inizio cioè sino ad oggi, cosa vede?
Mi sembra giusto lasciare a qualcun altro (più imparziale rispetto a me) ogni riflessione “qualitativa” sulla storia del Gramelot.
A mio parere, credo sia stata e rimanga tuttora un’esperienza entusiasmante dal punto di vista umano e musicale per ciascuno dei musicisti del gruppo: bisogna sottolineare che è cosa piuttosto rara nel jazz (in particolare in Italia) riuscire a mantenere viva e stabile una piccola comunità di 5 musicisti per una decina di anni, come siamo riusciti a fare col Gramelot Ensemble. Riuscire a realizzare parecchi dischi e centinaia di concerti con una formazione stabile negli anni ci ha consentito di crescere notevolmente, ripeto, come gruppo ma anche come singoli musicisti. In quanto fondatore e coordinatore del gruppo, per me è questa davvero una grande soddisfazione. La critica italiana ci attribuisce poi una definizione di “realtà fra le più originali a livello italiano”, onorandoci da anni con nominations nel prestigioso “Top Jazz” fra i migliori gruppi jazz italiani, vicino a personaggi come Rava e Trovesi… e questo non può che far piacere.
Quali suggestioni e idee stanno alla base di Storie di fiume?
La traiettoria di questo nuovo disco è fedele al percorso, iniziato anni fa, di recupero e trasfigurazione di materiali derivanti dal cosiddetto “folklore immaginario”, ovvero ritmi e melodie provenienti dalle nostre radici rivitalizzati grazie all’improvvisazione di scuola jazzistica. Questo percorso di confine fra folk e jazz è il marchio di fabbrica del Gramelot… Il nome stesso ‘Gramelot’ si rifà al “gramelot teatrale” di Dario Fo, un linguaggio/miscela di dialetti e forme onomatopeiche, in parte esistenti ed in parte improvvisate, e comprensibile da chiunque. Il suono stesso del gruppo rimane anche in questa nuova incisione vicino alla sonorità degli ensemble di musica popolare, anche se il risultato della nostra rielaborazione ci porta spesso vicino alle sonorità del jazz contemporaneo. Per quanto riguarda il lato compositivo di Storie di fiume mi sono ispirato ai paesaggi della nostra terra mantovana, in particolare al suono del ‘fiume’, metaforicamente considerato come frutto del contributo delle acque di tutti gli affluenti. Il grande fiume visto come veicolo attraverso cui corre la cultura popolare della nostra gente, i suoi canti, i suoi racconti e le leggende ad esso legate.
L’assenza in Storie di fiume di “collaboratori esterni” è sintomo di piena, autonoma maturità stilistica o cos’altro?
In realtà il Gramelot è fin dagli inizi un gruppo aperto alle collaborazioni ed al dialogo con artisti “esterni”, a partire da Paolo Fresu, che partecipò alla registrazione del primo disco nel 1995 (e a svariati concerti col gruppo), per passare a Gianni Coscia, Gianluigi Trovesi, fino agli ospiti degli ultimi dischi, personaggi straordinari come il clarinettista Don Byron, il trombettista Ralph Alessi, il violoncellista Erik Friedlander. Tuttavia il gruppo ha continuato negli anni ad esibirsi dal vivo soprattutto nella formazione base di quintetto (a parte i tour con Ralph Alessi), ed ha maturato una compattezza ed un suono davvero personali, tali da indurci a tornare in sala d’incisione senza alcun ospite. E il risultato sembra essere lusinghiero, se una firma prestigiosa come Piercarlo Poggio, recensendo Storie di fiume per il mensile Audio Review, ha scritto: «Nell’album, inciso benissimo nel rinomato ArteSuono di Cavalicco (Udine), non appaiono, come nei precedenti, ospiti di riguardo (Don Byron, Ralph Alessi, Erik Friedlander), ma davvero, con tutto il rispetto per questi ottimi artisti, nessuno ne sentirà la mancanza. Il gruppo suona disteso e rilassato come non mai, e con una precisione nei cambi da staffetta olimpica. La maturità artistica di Guiducci ha ormai raggiunto un tale di livello da non necessitare di alcun orpello, anche se di pregio». Torneremo in ogni caso a collaborare con il trombettista Ralph Alessi, con cui tra l’altro abbiamo a giugno 2007 un tour in Spagna.
La parola “jazz” è sempre stata al centro di lunghe discussioni, che senso ha oggi per lei questo termine?
Il Jazz è musica in continua evoluzione: lo è stato alle sue origini, continua ad esserlo ai nostri tempi. Basti pensare che sotto questa definizione stanno artisti lontani fra loro come Louis Armstrong, Gil Evans e Pat Metheny… Tuttavia ora la stessa parola “Jazz” è diventata una specie di contenitore, che raccoglie tanto le musiche improvvisate quanto il rock o la fusion. Ancora: il jazz è fin dalle origini nel crogiuolo di New Orleans musica “meticcia e contaminata”, che però conserva caratteristiche ben precise, un’urgenza espressiva ineliminabile. Personalmente considero poco interessante la cosiddetta contaminazione quando rimane a livello “turistico”, cioè di sovrapposizione forzata di strutture “arraffate da questo o quel folklore”. Considero addirittura grottesca l’idea che si faccia contaminazione prendendo un percussionista africano e facendolo suonare con un violinista siberiano, integrando il gruppo con un D.J. newyorkese, un chitarrista flamenco ed un vocalist della Patagonia. Al di là della musica “determinata” da scelte di mercato, la contaminazione deve essere condotta con consapevolezza. In questa ottica scavare nelle proprie radici è importante: certo non per farne dell’autocelebrazione etnica e chiudersi all’interno, ma piuttosto poter dialogare con l’esterno senza appiattirsi. Questo, in ultima analisi, è anche il senso del progetto Gramelot.
Il jazz a Castiglione sembra essere sparito dopo la cancellazione del Festival jazz: che prospettive ci sono?
Mah, credo che il problema non sia tanto o solo la cancellazione del Festival jazz. Per prenderla con ironia, credo che l’esempio più alto di “arte & cultura” prodotto da questa Amministrazione siano di gran lunga le “artistiche” siepi delle numerose rotonde che sono sorte in paese negli ultimi due anni, contestualmente all’assenza di un qualsivoglia piano del traffico. Certo sarebbe interessante tornare con più calma su questo argomento, ma, in estrema sintesi, mi sembra evidente come sia la “Cultura” in senso lato a risultare pesantemente penalizzata dall’assenza di una qualche “progettualità visibile” durante questi 5 anni di Amministrazione. Castiglione non ha una Scuola di Musica Comunale, non ha uno spazio per l’attività dei complessini giovanili, non ha neppure una Banda Comunale, mentre l’Amministrazione anziché promuovere iniziative, si è limitata ad “apporre patrocini” a sporadiche ancorché lodevoli iniziative di volontari. Quindi, al di là dei tagli, abbiamo assistito alla totale assenza di un “progetto culturale” per Castiglione. Probabilmente l’Amministrazione aveva altre priorità…
Programmi per il 2007?
Quest’anno ho già in programma diversi tour, uno teatrale a febbraio (in Italia), uno a marzo in Germania e più avanti, a giugno, in Spagna in presentazione del nuovo disco. Quest’ultimo avrà un’appendice (per la prima volta) con alcuni concerti anche negli Stati Uniti (Washington e Chicago). Speriamo bene.
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